1. Perché riflettere sulle dimensioni sub-provinciali ed extra-provinciali dell’economia bergamasca
Il presente capitolo prende spunto dal fatto che lo sviluppo economico e il governo dell’economia locale devono essere riletti, interpretati e gestiti alla luce del rinnovato modo di operare delle imprese e degli operatori economici, nonché della collocazione sul territorio dei fattori critici di sviluppo emergenti. Negli anni Novanta, infatti, la soluzione e l’analisi dei problemi locali richiede la conoscenza di uno spazio di riferimento più ampio e dai confini più labili rispetto alle tradizionali interpretazioni delle situazioni territoriali. I meccanismi che regolano lo sviluppo economico si stanno modificando non solo con riferimento ai fattori rilevanti (che sono sempre più immateriali), ma anche alla dimensione spaziale, pur fatto salvo il ruolo della compattezza culturale e naturale del territorio di sottofondo. Attualmente le imprese operano in una situazione di sempre maggiore apertura ai mercati internazionali, ricercano sinergie in un sistema relazionale che si realizza in organizzazioni a rete (di vendita, di acquisto, etc.) sempre meno legate alla vicinanza e alla contiguità territoriale e che sono imperniate sempre più su flussi di informazione e comunicazione. Inoltre, la dinamicità dell’evoluzione economica congiunturale, ma anche strutturale, richiede per l’individuazione dei compiti e delle strategie locali la conoscenza non solo di ciò che la comunità socioeconomica locale è, ma anche delle modifiche in atto affinché sia possibile configurare gli scenari in divenire e individuare le necessarie condizioni di sviluppo interne all’area. La crescita nelle economie locali del livello di relazionalità anche a lungo raggio tra imprese e dell’impatto che gli operatori economici esercitano sulle economie esterne si affianca alla crescente esigenza di relazioni tra queste, l’ambiente e le istituzioni. In particolare, affinché il sistema locale possa mostrare segni di competitività è necessario che la compattezza culturale degli operatori consenta di acquisire vantaggi economici passando da logiche individuali a logiche di sistema.
Le analisi effettuate nel seguito vogliono costituire, attraverso un quadro quantitativo, un riferimento per il dibattito sulla valutazione dei fattori di competitività dell’area bergamasca al fine della definizione di politiche economiche locali strategiche per lo sviluppo. Infatti, l’interpretazione dello sviluppo economico in termini di sviluppi locali, e non nazionali, è un aspetto che non solo sta attirando l’attenzione della teoria economica, ma trova vari riscontri operativi negli interventi di politica economica industriale. Ad esempio, la riforma dei fondi strutturali della UE rientra proprio nel filone operativo che riassegna importanza allo sviluppo locale.
2. Le suddivisioni territoriali degli assetti produttivi bergamaschi: un’analisi critica comparata
La recente letteratura e le ricerche effettuate ed in atto pongono, per l’interpretazione degli assetti produttivi e/o demografici del sistema locale, l’attenzione di volta in volta su aggregazioni territoriali sub-provinciali differenti.
Ci pare pertanto opportuno, prima di proporre le analisi da noi effettuate, passare in rassegna gli aspetti principali di suddivisioni territoriali sub-provinciali che sono disponibili e che sono state oggetto di studio tentando sia di sottolineare gli aspetti di riferimento più salienti per l’identificazione del modello evolutivo sub-provinciale e dei suoi fattori di competitività sia di valutare se esistono chiavi di lettura comuni e quali appaiono i principali elementi di differenziazione.
In questa rassegna facciamo riferimento alle seguenti suddivisioni territoriali: a) l’area produttiva di Bergamo ; b) i sistemi locali; c) i distretti; d) i distretti regionali; e) le aree comunitarie; f) le ripartizioni territoriali in fase di studio che potrebbero essere il riferimento per il Piano Territoriale Provinciale.
a) L’area produttiva Bergamo individuata nell’ambito delle 173 aree produttive nazionali costruite applicando ai dati locali del 1991 una nuova metodologia statistica si presenta come un aggregato produttivo, composto da 125 comuni, monopolare, concentrato attorno al polo di Bergamo, con specializzazione in tutti i rami dell’industria manifatturiera (anche se dominata dal tessile, dal meccanico e dal legno). E’ un’area di 958 kmq. di superficie, con una popolazione di 645226, un rapporto add./pop. (x100) pari a 41. L’aggregato individuato in questo studio ci propone una visione di un’ampia parte di territorio bergamasco, che - alla luce di modelli statistici che tengono conto di fattori relazionali ed endogeni del territorio - si presenta con ruolo di interlocutore attivo nel sistema produttivo nazionale. In particolare, l’area identificata comprende, oltre a Bergamo, una serie di comuni che determinano attorno a questa città un’area circolare che si estende verso sud e verso la zona milanese, alla quale in sostanza si attacca. Questa configurazione mette in luce le performance bergamasche in una logica interpretativa di un modello per poli, che può avere come sue forme estreme di articolazione i sistemi locali e i distretti industriali, i quali costituiscono ripartizioni territoriali più specifiche della situazione economica provinciale.
b) I sistemi locali sono stati individuati da uno studio congiunto Istat-Irpet sui dati del Censimento dell’Industria del 1981 e sono stati rivisti sulla base dei dati del 1991 (la ricerca ha individuato 84 sistemi locali contro i 955 del 1981). Con riferimento a quest’ultimo anno i sistemi locali sono risultati nel complesso del paese meno numerosi dei vecchi, sintomo che già nel corso degli anni Ottanta i legami distrettuali si sono andati attenuando e che l’assetto produttivo locale sta cambiando, anche a causa di un aumento della pendolarità e del suo più ampio raggio di azione.
Nella bergamasca dai 17 sistemi locali identificati nel 1981 si è passati ad 8 nel 1991. In particolare, essi sono: Albino, Bergamo, Clusone, Lovere, Romano di Lombardia, Treviglio, Valminore di Scalve, Zogno. Le caratteristiche di questi sistemi al 1991 in termini di n. posti lavoro, di occupati residenti, di spostamenti interni, autocontenimento di domanda e offerta sono riportati nella tabella 2.1; nel complesso i sistemi locali bergamaschi al 1991 offrono 320941 posti di lavoro, conglomerano 349344 residenti e registrano 261411 spostamenti interni giornalieri.
L’analisi dei sistemi locali agli inizi degli anni Novanta sembra porre in luce tre differenti caratterizzazioni della realtà sub-provinciale. La prima riguarda Bergamo, che presenta all’interno della provincia un ruolo centrale sia dal punto di vista dimensionale (concentra circa il 54,5% dei posti di lavoro e il 48,8% dei residenti), sia dal punto di vista della capacità di autocontenimento della domanda e dell’offerta di lavoro (entrambi gli indici sono molto elevati; in particolare Bergamo è l’unico sistema locale in cui l’indice di autocontenimento dell’offerta è più alto di quello della domanda). Una seconda tipologia di sistemi locali è caratterizzata da elevato autocontenimento di domanda e discreto autocontenimento di offerta; si tratta per lo più di realtà locali che confermano una compattezza imprenditoriale e culturale e che sono legate agli insediamenti industriali tradizionali della bergamasca (Clusone, Lovere, Zogno, e la piccola realtà di Val di Scalve). Infine, la terza tipologia è rappresentata dai sistemi locali (Treviglio, Romano di Lombardia, Albino) che agli inizi degli anni Novanta assumono un consistente peso dimensionale rispetto alla provincia, ma che hanno connotazioni più sbilanciate dal punto di vista dell’autocontenimento. In particolare, essi evidenziano una consistente capacità di attrazione della domanda, ma un molto più blando autocontenimento dell’offerta, sintomatico di aree scarsamente ancorate all’esistenza di un’acquisita compattezza culturale, con un ruolo emergente nel contesto economico bergamasco e lombardo.
c) Un’analisi territoriale più specifica ha utilizzato i sistemi locali del lavoro quale unità territoriale di riferimento per l’individuazione dei distretti e, in particolare, dei distretti industriali regionali (art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 sugli Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese e degli indirizzi e dei parametri per l’individuazione da parte delle regioni dei distretti industriali). In queste delimitazioni territoriali viene ricercata e valorizzata la cultura imprenditoriale locale; infatti per distretto (Becattini, 1989) si intende "un’entità socio-territoriale caratterizzata della compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali".
Con riferimento ai distretti uno studio dell’Istituto Tagliacarne (1996) ha portato l’attenzione sulle aree di concentrazione imprenditoriale che sono rilevanti ai fini dell'individuazione e dello sviluppo di politiche di intervento. In base all’indicatore di forza economica appositamente calcolato, privilegiando la concentrazione imprenditoriale rispetto alla monosettorialità, lo studio segnala buone performance dei distretti dell’area nord e tra questi, quello di Bergamo e altri della provincia. In particolare, il distretto di Bergamo si colloca nel primo gruppo (indicatore pari a 119,5; si osservi che il valore più elevato dell’indicatore è risultato pari a 130,1 e si registra per il distretto di Carpi; il distretto di Brescia presenta un valore pari a 119,8, che è analogo a quello di Bergamo ). Nello stesso gruppo si trovano anche il distretto di Lecco (valore dell’indicatore pari a 117,3) e di Treviglio (valore 116,9); nel secondo gruppo si posiziona, invece, Clusone (valore 110,9). I distretti del primo gruppo, tra cui c’è appunto Bergamo, sono caratterizzati da un rilevante spessore organizzativo; si tratta di distretti maturi, il cui alto valore dell’indice è sintomatico di una buona integrazione tra assetto demografico e occupazionale, presenza anche di imprese medio-grandi, buon livello di benessere. Il problema che più realisticamente sembra profilarsi in questo tipo di aree è una parziale saturazione occupazionale, soprattutto se l’attrazione esercitata dalla loro forza economica tende ad esercitare capacità di attrazione demografica. I distretti del secondo gruppo, tra i quali troviamo Clusone, sono di piccola impresa, con una certa presenza di artigianato; sembrano presentare caratteristiche equilibrate dei diversi fattori, una certa solidità e capacità di attrazione. Il distretto di Romano di Lombardia si colloca invece (indice pari a 109,4) nel terzo gruppo tra i distretti in fase di consolidamento, caratterizzati da nuclei di imprese mediamente piccole che operano in un tessuto socio-economico non ancora culturalmente formato e demograficamente dinamico. Il piccolo distretto di Valminore di Scalve appare, invece, tra i distretti a sviluppo contenuto (quarto gruppo), cioè si configura come una realtà locale tendenzialmente più debole sia con riferimento alla solidità demografica, che al benessere e all’occupazione.
d) Nel tentativo di configurare uno scenario ampio delle connotazioni sub-territoriali della provincia è opportuno portare anche l’attenzione sui distretti regionali. In provincia di Bergamo vi sono alcuni distretti ad elevata specializzazione. In particolare, dei 21 distretti regionali, (di cui uno è a carattere interregionale) quelli bergamaschi sono: Valbrembana (legno), Valseriana (tessile/abbigliamento), Sebino Bergamasco (guarnizioni gomma). Caratterizzazioni di elevata specializzazione si trovano anche in zone a cavallo della situazione provinciale, quale quella che afferisce al distretto Trevigliese (prodotti in metallo e macchine) e quello tessile /abbigliamento di Palazzolo sull’Oglio, nonché nel distretto Lecchese. I distretti che caratterizzano l’area di influenza economica bergamasca sono in sostanza rappresentati da due realtà particolarmente consistenti: quella Lecchese e quella Trevigliese, entrambe legate principalmente al settore meccanico, ma con presenza anche di altre manifatturiere, in particolare del settore chimico e, anche, di attività terziarie (questo vale specialmente per Treviglio, in cui si ha anche una dimensione di impresa superiore al valore medio regionale). Per gli altri distretti, per lo più di media dimensione, sebbene la specializzazione merceologica specifica sia più marcata si osserva pur tuttavia anche una specializzazione estesa a diversi rami di attività. Nel complesso le diverse realtà locali distrettuali bergamasche hanno presentato una buona dinamica nel corso degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta.
e) Un ulteriore tipo di aggregazione territoriale che merita di essere richiamata è quelle relativa alle aree definite nell’ambito di alcuni programmi comunitari destinati alla reindustrializzazione delle aree di crisi e alla individuazione dei distretti industriali. La Comunità Economica Europea ha previsto interventi sia per sostenere le aree a tradizionale presenza industriale (obiettivo 2, che ha coinvolto la provincia di Sondrio e l’Asse Sempione), sia per consolidare e sviluppare in alcune aree lombarde, tra cui anche alcune della provincia di Bergamo, la presenza di settori economici che maggiormente sono in grado di valorizzare le risorse umane e fisiche locali (programma comunitario Obiettivo 5b dei primi mesi del 1995). In tale contesto per la provincia di Bergamo sono state definite accanto all’area metropolitana di Bergamo un insieme di aree specifiche che ricalcano le comunità montane e individuano sub-area specifiche di pianura; esse sono la Comunità Montana della Val Brembana, la Comunità Montana della Valle Imagna,, la Comunità Montana della Valle Seriana Inferiore, la Comunità Montana della Valle Seriana Superiore, la Comunità Montana della Val Cavallina, la Comunità Montana Basso Sebino, la Comunità Montana dell’Alto Sebino, la Comunità Montana Val di Scalve, San Marino Sud e Isola, Val Cavallina Sud e Val Calepio, Pianura Serio-Oglio, Pianura Sponda Serio, San Martino (provincia di Lecco). Lo schema interpretativo che ha guidato l’individuazione di tali aree è in linea con un’impostazione della competitività territoriale tradizionale, legata ad una lettura dei porzioni piuttosto ristrette di territorio e basata sulla ricerca di specificità produttive e socio-demografiche circoscritte, con prevalente attenzione ai meccanismi relazionali interni al territorio rispetto alle interazioni con sistemi esterni.
f) Nell’ambito di approcci di analisi del territorio orientati su livelli territoriali molto specifici possiamo infine accennare all’approccio analitico in fase di studio avanzato per l’individuazione di ripartizioni territoriali che potrebbero costituire il riferimento per interventi di tipo amministrativo nella definizione del Piano Territoriale Provinciale. Partendo da analisi microterritoriali relative in particolare all’uso del suolo lo studio si propone tramite successive aggregazioni di arrivare alla specificazione di sub-aree definite a tre livelli di dettaglio: 9 circondari, 22 ambiti e 55 bacini (a cui va aggiunta la realtà di Lecco). Soffermando l’attenzione sul livello territoriale dei circondari, essi sono: Bergamo, del Brembo, del Serio, dei Laghi, Valcalepio e Pianura Orientale Nord, della Valle Imagna, dell’Isola, della Francesca, della Pianura Occidentale, della Pianura Orientale.
Lo studio si caratterizza sia per l’impostazione di tipo bottom-up adottata sia per la specificità degli obiettivi per il quale viene realizzata, obiettivi che necessariamente vedono i confini provinciali come un riferimento con una valenza prioritaria.
3. I fattori di competitività delle diverse aree provinciali
Le principali ripartizioni della provincia presentate sopra e le loro chiavi interpretative mostrano che l’analisi della situazione socio-economica locale può essere orientata su diversi livelli di dimensione spaziale per la valutazione della competitività del territorio, ma che comunque deve essere interpretata secondo una natura interdisciplinare che collega la capacità di sviluppo e di competizione delle aziende industriali alle caratteristiche socio-culturali dell’ambiente in cui esse operano e non può più essere vista come legata alla definizione di un contenitore territoriale specificamente di fenomeni produttivi. Una visione così ristretta è infatti contrastata da una serie di processi, uno dei quali ad esempio è il processo di globalizzazione. Globale e locale costituiscono, pertanto, il nuovo modo di specificare le performance territoriali e di salvaguardare la competitività dinamica dei sistemi locali di produzione.
Negli anni Novanta si assiste a un meno intenso legame produttivo all’interno di realtà territoriali ristrette, quale, ad esempio, il distretto; il contesto territoriale nel cui ambito si realizzava una concentrazione di fasi produttive in grado di creare forti economie esterne che riducevano i costi di transazione delle spese si va attenuando. Sia le imprese committenti sia le imprese sub-fornitrici si trovano a gestire relazioni a più ampio raggio. Nella gestione aziendale, inoltre, è venuto meno l’elemento costo-prezzo come fattore competitivo determinante all’interno dei mercati di sostituzione, mentre si è portata l’attenzione sullo sviluppo dell’innovazione non solo incorporata nel prodotto e nel processo, ma ad una gestione di impresa completamente innovativa, in cui il processo di apprendimento e la capacità di gestire le informazioni sono un fattore competitivo di rilievo.
Non è questa la sede per approfondire il dibattito sull’identificazione della configurazione ottimale per interpretare la realtà economica locale, al fine di individuare le tendenze evolutive del territorio e di disporre di elementi per comprendere gli interventi di politica industriale locale necessari. Il fatto importante – in questa fase di lavoro - è che è opportuno soffermare l’attenzione sulle caratteristiche economiche e di competitività di sub-aree provinciali tenendo presenti le considerazioni più sopra esposte e alcune ipotesi interpretative. Le ipotesi prioritarie su cui articolare in seguito valutazioni più specifiche sono:
L’analisi dello sviluppo di lungo periodo (1981-1991) e di breve periodo (1991-1993) delle diverse aree provinciali è effettuata attraverso un’analisi dei dati della struttura industriale e dell’occupazione, con attenzione agli aspetti settoriali e dimensionali, di eventuali altri indicatori di mobilità, demografici e di competitività.
L’analisi sulle dinamiche sub-provinciali da noi realizzata prende come riferimento le Circoscrizioni di Collocamento, che sono state definite con riferimento ai sistemi produttivi locali sul finire degli anni Ottanta del Ministero del Lavoro quale punto di riferimento per le politiche attive del mercato del lavoro (art.1 e 2 della legge 28 febbraio 1987, n. 5 sull’Organizzazione del mercato del lavoro). Al fine di collocare la dinamiche dell’economia sub-provinciale in un contesto territorialmente più ampio e meno rigidamente ancorato alla suddivisione amministrativa oltre alle circoscrizioni della provincia di Bergamo (Bergamo, Albino, Almè, Clusone, Grumello del Monte, Ponte S. Pietro, Romano di Lombardia, Trescore Balneario, Treviglio) consideriamo anche le circoscrizioni confinanti con la provincia, vale a dire: Erba, Lecco, Merate, Milano, Monza, Sesto San Giovanni, Cassano d’Adda, Lovere, Zogno, Brescia, Breno, Iseo, Orzinuovi, Chiari, Sarezzo, Palazzolo sull’Oglio, Crema, Soresina. L’area osservata ha, all’inizio del 1994, poco più di 360mila unità locali di cui quasi 207mila in provincia di Bergamo, un totale di quasi 1,7milioni di addetti, di cui circa 1 milione nella provincia; la popolazione residente è pari quasi 4,8milioni persone, di cui il 19,8 per cento in provincia di Bergamo. Negli anni Ottanta l’area ha registrato a fronte di un calo demografico di più di 107mila persone (pari al –2,2%), aumento dell’occupazione (+ 25mila addetti circa pari a +1,4%) e consistente crescita del numero di unità locali (circa +43mila, pari al 14%).
Dall’inizio degli anni Novanta alla fine del 1993, la consistenza demografica (+1255 residenti) appare pressoché stabile (tabella 2.2), mentre l’occupazione ha registrato un calo pari a più di -121mila addetti, che ha portato l’occupazione a livelli più bassi del 1981. La nota positiva di questi anni è il permanere della crescita delle unità locali (quasi +13mila unità).
L’incremento del numero di unità locali appare un fenomeno che si manifesta in pressoché tutte le circoscrizioni e che si verifica sia nel settore industriale sia in quello dei servizi; va sottolineato che circoscrizioni quali Melzo, Vimercate, S. Donato realizzano tassi di aumento particolarmente rilevanti che portano ad individuare il configurarsi dell’area periurbana più dinamica sia dal punto di vista industriale che dei servizi agli inizi degli anni Novanta (tabella 2.3).
Il dato globale è il risultato di dinamiche differenziate di sviluppo territoriale; ai fini del nostro studio è interessante esaminare i riassetti interni all’area.
Negli anni Ottanta innanzitutto va sottolineato che l’effetto demografico negativo è in pratica il risultato delle forti pressioni di decongestionamento insediativo verificatosi nella circoscrizione di Milano (-14,7%, pari a – 236mila residenti), a cui si aggiunge il calo demografico Sesto S. Giovanni (-17mila residenti). Gli effetti di spopolamento di alcune aree delle valli bergamasche (Clusone, Lovere e Zogno) sebbene siano abbastanza significativi rispetto alla situazione locale (-0,7% a Clusone, - 2% a Lovere e a Zogno) e di qualche interesse per i riassetti organizzativi della bergamasca, nel complesso coinvolgono meno di 2mila residenti e non rappresentano quindi un forte impatto sul sistema demografico dell’area. Accanto ai rilevanti cambiamenti demografici, le circoscrizioni di Milano e Sesto S. Giovanni manifestano un cambiamento strutturale che si è risolto in una contrazione occupazionale affiancata da un aumento di unità produttive (ad esempio a Milano le +11mila unità locali hanno occupato –38mila addetti); nonostante la crescita demografica, la realtà bresciana è allineata a questi comportamenti per quanto riguarda addetti e unità locali. Le altre realtà locali sono, invece, state caratterizzate da crescita (unica eccezione Soresina) delle unità locali generalmente accompagnata da incremento occupazionale e residenziale. In particolare, al decongestionamento dell’area urbana milanese si è accompagnata una consistente crescita delle circoscrizioni milanesi confinanti con la provincia di Bergamo e di quelle di questa provincia, soprattutto di quelle localizzate in pianura e in prossimità d Bergamo.
Nel più recente periodo (1991-1993), invece, l’evoluzione occupazionale assume nel complesso connotazioni tendenzialmente peggiori, più articolate sul territorio e collegate in vario modo alla dinamica delle unità locali.
Con riferimento all’occupazione complessiva ( tabelle 2.3 e 2.4a) nell’area considerata sembra manifestarsi una dinamica più favorevole (positiva o moderatamente negativa) nella fascia territoriale orizzontale della pianura, in posizione leggermente decentrata rispetto alla circoscrizione di Bergamo. Le circoscrizioni a maggior tenuta sono quelle extra-provinciali che confinano con la provincia di Bergamo sia sulla direzione dell’area milanese (Melzo e Cassano d’Adda, le uniche che hanno registrato crescita occupazionale, nonché Carate, Vimercate, Merate, le quali presentano decremento moderato) che nella direzione di Brescia (Chiari e Brescia, anch’esse con cadute non elevate, attorno a –4 %). L’unica circoscrizione bergamasca che rientra in questo gruppo a diminuzione più contenuta è Romano di Lombardia (-2,2%). Le circoscrizioni bergamasche collocate sulla fascia pedemontana (Ponte S. Pietro, Bergamo e Trescore) presentano cadute occupazionali un po’ più accentuate, vale a dire nell’ordine del 6 o 7 per cento. Situazioni più pesanti si registrano nelle altre circoscrizioni della provincia. In particolare, colpisce la situazione critica, oltre che di Lovere (-13 %), di Treviglio (circa –8 %), la quale dal punto di vista localizzativo è inserita in una direttrice territoriale che ha mostrato nella recente evoluzione performance occupazionali migliori della altre aree. La gravità delle performance occupazionali negative rispetto al sistema locale traspaiono dai tassi di variazione. Le maggiori perdite occupazionali in termini assoluti danno, invece, una dimensione del problema occupazionale di per sé e sono nella circoscrizione di Milano (-57mila addetti), Sesto S. Giovanni, Monza, Bergamo (-6mila addetti circa).
Un indicatore della vivacità economica delle diverse circoscrizioni può essere ricavato osservando l’evoluzione delle unità locali. Il grado di dotazione locale dell’imprenditorialità e il grado di diffusione nelle varie parti del territorio della funzione imprenditoriale sono un aspetto rilevante dell’andamento economico, in particolare se si tratta di una funzione imprenditoriale generata in loco, essa svolge spesso l’effetto di crescita produttiva di altre unità. Le quattro circoscrizioni appena citate nei primi anni Novanta mostrano una consistente crescita delle unità locali. A Milano il dato di crescita (pari quasi a +10mila unità) è di poco inferiore a quello conseguito complessivamente negli anni Ottanta. Non così rilevante, ma comunque pari a +613 unità locali, è il consolidamento strutturale della circoscrizione di Bergamo. Accanto a queste va segnalata anche Brescia, in cui l’incremento delle unità locali è superiore a quello complessivo del decennio precedente.
Totalmente negativa sia sul fronte dell’occupazione sia delle unità locali appare, invece, la situazione per le circoscrizioni delle province di Brescia, di Como e di Lecco. Nettamente più positive le performance delle circoscrizioni a sud di Milano e sulla direttrice Bergamasca; esse presentano una vivace dinamica di sviluppo delle unità locali a fronte comunque di un calo occupazionale (unica eccezione sono Melzo e Carate Brianza, che incrementano anche l’occupazione).
Al fine di tentare di fornire elementi per la ricerca dei fattori di competitività strategici delle circoscrizioni è opportuno analizzare la dinamica occupazionale e alle unità locali con riferimento separatamente all’industria (sono state incluse anche le costruzioni) e ai servizi. La capacità di offrire servizi e risorse per attirare investimenti, infatti, è un fattore di competitività su cui si basa la crescita e l’innovazione di azienda; a tale scopo a livello locale è necessario far emergere la capacità del contesto istituzionale di fornire beni collettivi in termini di stimolo all’innovazione, alla formazione professionale, capacità di governo dei conflitti di controllo di risorse ambientali e infrastrutturali, attraverso interventi che devono essere differenziati nel tempo e nello spazio e che richiedono coordinamento intersettoriale e intensa collaborazione con gli attori coinvolti.
Con riferimento all’industria e costruzioni (tabella 2.4b), appare un certa debolezza del sistema bergamasco; pur non essendoci (a parte limitate eccezioni) situazioni fortemente critiche, si osserva una generalizzata riduzione non solo sul fronte occupazionale, ma anche su quello delle unità locali. Tra le circoscrizioni bergamasche soltanto Romano di Lombardia (con un tasso di riduzione degli addetti dal 1991 al 1993 del –2,2%) si colloca nella fascia evolutiva migliore (l’unica circoscrizione dell’area che nel periodo ha presentato crescita occupazionale è S. Donato Milanese). Per quanto riguarda le circoscrizioni bergamasche, quelle che presentano tendenze occupazionali negative relativamente meno intense sono Ponte S. Pietro, Trescore Balneario e Grumello, che si connotano come l’asse provinciale relativamente più solido dal punto di vista degli addetti nell’industria e costruzioni. Situazioni particolarmente critiche dal punto di vista dell’occupazione industriale si profilano invece a Lovere e Almè. Dal punto di vista delle unità locali le circoscrizioni maggiormente penalizzate sono Trescore Balneario e Lovere, mentre particolarmente solida appare la situazione della circoscrizione di Bergamo.
Se passiamo ad un’analisi del settore dei servizi, anche in questo caso, il sistema bergamasco non ha mostrato una situazione piuttosto forte come quella delle circoscrizioni collocate sull’asse della pianura lombarda. Nei servizi il modello della dinamica occupazionale e delle unità locali (tabella 2.4b) segnala tassi di incremento più elevati soprattutto nelle circoscrizioni dei grandi centri Milano, Bergamo e Brescia (in quest’ultima la moderata riduzione dell’occupazione - pari solo al –0,6 % -si affianca comunque ad una crescita delle unità locali paria al 7,7 %). Lungo l’asse di collegamento di questi tre centri, inoltre, la situazione occupazionale manifesta una crescita, mentre più modesto è il comportamento delle unità locali.. Aumento o moderata contrazione nell’occupazione nel settore dei servizi si è registrata nelle circoscrizioni extra-provinciali confinanti con la provincia sulla direttrice milanese (Vimercate, Melzo, Cassano d’Adda, che insieme con Erba sono le uniche circoscrizioni che hanno registrato crescita negli addetti ai servizi); in queste aree, però, la vivace crescita delle unità locali è sintomatica del dinamismo dell’imprenditoria terziaria in queste zone..
Le circoscrizioni di Bergamo, quelle dell’area a sud, quella a oriente e a occidente della città presentano maggiore vitalità sia sul fronte produttivo che dei servizi. Si distingue in particolare Romano di Lombardia. Nel complesso la competitività del sistema bergamasco appare tuttavia critica e assume configurazioni di una fase di transizione della dimensione spaziale dei fattori di competitività.. La tradizionale logica di distretto si ripropone su scala allargata che coinvolge dimensioni provinciali, regionali, nazionali e anche sovranazionali. In tale contesto, non si attua tanto una rilocalizzazione degli impianti quanto una diversa combinazione di fattori produttivi, con una riduzione della dipendenza del tessuto produttivo locale, a vantaggio di contesti territoriali più ampi in cui sono ricercate imprese contoterziste, che consentono di operare a costi ridotti, e in cui si creano nuove relazioni spaziali, oltre che funzionali, tra industria e terziario.
Va inoltre ammesso che le caratteristiche delle comunità possono mutare nel tempo; pertanto è opportuno osservare come si spostano sul territorio gli insediamenti demografici e quelli industriali. Infatti, nell’interpretazione della dimensione locale la configurazione relazionale che si esplica sul territorio dove la popolazione svolge la maggior parte della propria vita quotidiana, produce consuma e stabilisce rapporti economici e sociali è importante. Là dove si formano nuclei consistenti di relazioni stabili vita-lavoro si sviluppano anche ispessimenti di esternalità positive e negative.
Una prima approssimazione del grado di compenetrazione del fattore domanda di lavoro e insediamento demografico può essere colto dal rapporto addetti su 100 residenti. Tale rapporto appare rilevante nelle circoscrizioni dei grandi centri e nelle immediate aree di influenza. La figura evidenzia la capacità di attrazione del sistema milanese (Milano, Melzo, Vimercate, S.Donato), di quello bergamasco (Bergamo, Grumello e con effetti un po’ meno pronunciati Treviglio, Ponte S. Pietro, Albino e Trescore Balneario) e della circoscrizione di Brescia e Sarezzo. Il succitato rapporto è calcolato con riferimento al 1993 e risente contemporaneamente degli effetti occupazionali e di quelli demografici che si sono realizzati nell’area. Al fine di individuare le realtà demografiche emergenti e quelle in fase di decongestionamento demografico o di spopolamento è opportuno esaminare in dettaglio le variazioni dei residenti (contenute nella già citata tabella 2.2). Il sistema urbano milanese conferma il processo di decongestionamento già da tempo in atto che vede Milano e Sesto S. Giovanni in fase di forte contrazione demografica a favore della crescita demografica sia dei centri più grandi (attorno ai 200mila abitanti), che realizzano tassi di variazione abbastanza modesta (anche meno dell’uno %), sia dei centri medi (attorno ai 130mila abitanti) che di quelli più piccoli (sui 70-80mila abitanti), con tassi di aumento demografico dall’uno al tre per cento. Il sistema bresciano prosegue la crescita demografica su tassi che sono di poco superiori all’1 per cento – a parte la circoscrizione del capoluogo che si attesta sullo 0,6 per cento –. Il sistema demografico bergamasco conferma caratteristiche di consistente dinamicità sia nella circoscrizione del capoluogo che nelle altre, in particolare Treviglio, Ponte S. Pietro, Albino.
In sintesi il sistema socio-economico bergamasco agli inizi degli anni Novanta sembra evidenziare una dinamica non brillante dal punto di vista occupazionale, di relativamente maggiore solidità strutturale e di consolidamento demografico. Le dinamiche interne alle diverse aree appaiono però fortemente differenziate. In particolare, riassumendo gli aspetti emersi sembra possibile individuare tre gruppi di aree che presentano maggiori mutamenti socio-economici e diversa centralità economica: a) l’area Bergamo, Ponte S. Pietro, Trescore Balneario; b) Treviglio- Romano di Lombardia; c) Clusone, Albino, Zogno, Lovere, Almé.
Il ruolo specialmente qualificato nelle attività di servizio di Bergamo si è andato consolidando e fa sì che questa circoscrizione rappresenti una realtà urbana di riferimento nel contesto provinciale. Essa si distingue non solo dalle altre circoscrizioni di questo sistema, ma anche da tutte le altre circoscrizioni provinciali . Le circoscrizioni di Ponte S. Pietro e Trescore Balneario spiccano la prima per una specializzazione nell’industria manifatturiera e dei servizi di sanità e salute, la seconda per specializzazione sia industriale (estrattiva e manifatturiera) sia delle costruzioni, sia dei trasporti e comunicazioni. Nel complesso questo gruppo di circoscrizioni manifesta una situazione di presenza integrata di industria e terziario e con tendenziali caratteristiche di centralità economica.
Un aspetto di non scarso rilievo per lo sviluppo è l’accessibilità delle aree. Al proposito è interessante osservare come con riferimento alla rete ferroviaria il livello di accessibilità di Bergamo rispetto ai centri urbani lombardi è legato a tempi di percorrenza piuttosto bassi e nelle prospettive di fine millennio, a fronte di peggioramenti prevedibili per alcune significative direttrici riferite agli altri centri urbani, la situazione bergamasca appare invariata. Non altrettanto pare, però, possibile affermarsi relativamente ad altri aspetti infrastrutturali, quali ad esempio la viabilità.
Aspetti aperti per la ricerca di ulteriori chiavi di lettura della competitività
Un aspetto interessante per interpretare gli assetti territoriali e individuare la competitività dell’area riguarda l’esigenza di esaminare i segmenti di occupazione locale attribuibili a imprenditoria residente altrove e di analizzare il controllo occupazionale esterno da parte dei gruppi dell’area. Non è possibile, in questo lavoro, analizzare in dettaglio territoriale questi aspetti che sono, peraltro, oggetto di uno studio che è in corso. E’ però opportuno ricordare che alcuni fattori creano condizioni di competitività diversa in relazione agli aspetti dimensionali e proprietari delle imprese. In particolare, condizioni di competitività di diversa dipendono: dal fatto che la funzione imprenditoriale moderna si esprime attraverso un insieme di processi decisori a valenza strategica, che richiedono innovazioni tecnologiche e organizzative, dal fatto che la costante ricerca di nuove opportunità di mercato non può essere perseguita in via individuale e rende necessari accordi e intese con partner stranieri e il ricorso a strumenti finanziari non semplici, da parte di operatori abituati ad accentrare le decisioni.
Ad esempio, mentre l’introduzione di innovazione di processo mediante l’acquisto di macchinari avanzati non è generalmente un problema per la piccola impresa, problemi possono sorgere per l’introduzione di innovazioni che riguardino un intero sistema, quale l’introduzione e l’utilizzo dei sistemi informativi, che sono uno strumento sempre più importante per la gestione aziendale. E’ infatti tramite supporti di comunicazione informatici e telematici che si vanno sviluppando le nuove reti relazionali tra imprese; la capacità di introdurre innovazioni che coprano l’intera realtà aziendale richiede possibilità e capacità particolari. La capacità manageriale che rappresenta un punto di forza dello sviluppo locale delle piccole imprese è tradizionalmente legata a schemi che non prevedono un fattore organizzativo-imprenditoriale inteso nel senso più completo, ma piuttosto è basata su ottime conoscenze delle tecnologie produttive, dei mercati e dei fornitori, dei propri operai. Le capacità manageriali che si sono sviluppate e consolidate secondo questa logica sono conservative e tendono a riprodurre modelli che hanno permesso in passato di raggiungere il successo. Questo pur non essendo per niente un limite, comporta, però, il rischio che l’imprenditore sottostimi l’utilità di innovazioni organizzative e l’opportunità di agire, nell’attuale situazione di competizione dinamica, con tempi di risposta rapidi sui fattori che in passato erano risultati un vantaggio comparato. Queste nuove esigenze determinano vantaggi differenziali per le strutture di maggiore dimensione rispetto alle singole unità indipendenti. Inoltre i sistemi di produzione flessibili richiedono relazioni industriali flessibili ed esternalizzazione di alcune funzioni aziendali, tuttavia va osservato che le moderne tecnologie consentono di ridurre le differenze tra produzione di massa e produzione non standardizzata e sia le grandi sia le piccole imprese possono puntare su specializzazione flessibile ovvero su produzione diversificata di qualità a condizione di modelli organizzativi rinnovati. La differenza tra grandi e piccole imprese si gioca, allora, non più sulla flessibilità organizzativa delle piccole imprese, ma sulla presenza nelle grandi di unitarietà di comando e di risorse finanziarie e organizzative che consentono più autonomia nella costruzione delle loro reti e possono perseguire flessibilità e qualità in modo più svincolato dal contesto territoriale.
Tutte le considerazioni sopra esposte mostrano che negli anni Novanta le performance produttive e strategiche delle piccole imprese non sembrano presentare una situazione privilegiata rispetto alle medie e grandi imprese e che le nuove pressioni sia interne sia esterne che emergono sulle realtà locali richiedono alle piccole e medie unità locali relazioni non più informali tra imprese. La costituzione dei gruppi è una risposta spontanea alle esigenze competitive e appare come un nuovo modello evolutivo. I gruppi, infatti, consentono di abbinare i vantaggi della maggiore dimensione con i tradizionali vantaggi dell’operare delle imprese indipendenti, sembrano quindi le strutture organizzativo-funzionali in grado di ridurre i crescenti costi dei distretti senza perderne i vantaggi. Si ha infatti il vantaggio di una migliore capacità strategica, di conoscenza dei mercati di sbocco e delle tecnologie, di un maggiore potere contrattuale. Da questo punto di vista la determinante delle acquisizioni può essere di natura economico-industriale più che finanziaria. Questi risvolti interpretativi della funzione economica del gruppo sembrano confermati dalla constatazione che i dati sulle fusioni e acquisizioni evidenziano una certa stasi negli ultimi anni dei grandi gruppi e, invece, un attivismo delle imprese medie (secondo Nomisma la metà delle acquisizioni si è realizzato da parte di imprese con meno di 500milardi di fatturato).
Con riferimento alle problematiche di competitività dei sistemi locali bergamaschi, la presenza di gruppo (più di un centinaio) coinvolge l’attività di ben più di un migliaio di aziende. Poiché l’atmosfera industriale locale favorisce le acquisizioni di tipo economico-industriale proprio per la disponibilità di conoscenze delle imprese e per la possibilità di rimanere alla guida della propria azienda e conservare quindi la propria funzione sociale, un approfondimento sulla realtà bergamasca di questo modello evolutivo appare interessante, anche per riconfigurare gli assetti territoriali sub-provinciali del sistema industriale.
4. Considerazioni finali
E’ opportuno sottolineare che non esiste un unico modello per l’individuazione dei percorsi tipici per le dinamiche dei sistemi produttivi locali e non è possibile individuare un unico pattern del loro mutamento.
La direzione secondo cui ci appare interessante rileggere la competitività del territorio bergamasco è la individuazione della crescente integrazione tra sistemi locali diversi altrimenti differenziati in virtù della loro specializzazione funzionale, ammettendo la possibilità che alcuni sistemi integrandosi possano creare formazioni sociali più complesse nuove dotate di nuova identità. Le modalità di integrazione dei sistemi non sono univocamente definite perché risentono dell’effetto combinato delle peculiarità dei sistemi locali interessati da questo processo e di quello del territorio sul quale questo si svolge. In un quadro integrato di lettura del territorio i sistemi produttivi locali e distretti sembrano avere come ulteriore stadio del loro sviluppo non tanto l’evoluzione verso un’improbabile articolazione polifunzionale della propria struttura economica, quanto l’instaurazione dei legami forti con limitrofi sistemi locali all’interno di una regione polifunzionale più complessa ed estesa.
Allo stato attuale, ci sembra che questa prima analisi dei dati territoriali evidenzi e confermi la tendenza ad una attenuazione dell’evidenza empirica di realtà locali circoscritte e definite. Ciò però non deve essere interpretato come un elemento sintomatico della non rilevanza della lettura delle competitività territoriali, ma piuttosto come dell’esigenza di un maggiore sforzo nella direzione dell’analisi territoriale di una provincia che si trova in una fase di riassetto dei suoi fattori di competitività, che pertanto per essere precisamente configurati non è sufficiente un’analisi di dati storici, ma richiedono la messa a punto di rilevazioni e analisi più specifiche e finalizzate ed orientate ad una interpretazione prospettica. In particolare, ci sembra possibile distinguere due tipologie rispetto alle quali dovrebbero essere ricercati i modelli evolutivi presenti nella bergamasca e la valutazione alla luce di questi dell’evoluzione strategica delle diverse sub-aree. La prima tipologia riguarda le grandi aree metropolitane centrate su un sistema urbano che tende ad esercitare funzioni di dominanza sulle realtà locali circostanti. Con riferimento a questa tipologia, i recenti sviluppi segnalano l’avvicinarsi di un impatto di queste modalità di sviluppo sull’area occidentale della provincia. La seconda tipologia riguarda sistemi metropolitani medi e multicentrici che instaurano rapporti di interdipendenza funzionale con i sistemi locali che li costituiscono. Con riferimento a questa tipologia, l’impatto dell’influenza bresciana sulla parte orientale della provincia, di Bergamo come sistema metropolitano della provincia e dell’emergere di polarità, quali ad esempio quella gravitante sull’area trevigliese, rappresentano un riferimento interpretativo necessario sia dal punto di vista dell’analisi economica che degli interventi di politica economica.
In sintesi, nella realtà bergamasca dei primi anni Novanta appare necessario approfondire l’analisi territoriale cercando di scomporre l’impatto delle diverse tipologie di sviluppo che si vanno consolidando e le possibilità di individuazione del ruolo strategico della competitività bergamasca in uno scenario caratterizzato da forti pressioni della crescita metropolitana e della corona industriale (soprattutto nella parte verso la provincia di Bergamo), da un lato, e di consolidamento del polo bresciano, dall’altro.
La politica di sviluppo locale deve articolare i suoi interventi non solo agendo direttamente sulle attività produttive dei sistemi locali agendo tramite azioni su variabili economiche, ma anche su interventi che operando sulle interrelazioni tra variabili economiche ed extra-economiche, che è un aspetto essenziale per lo sviluppo e per la qualificazione del ruolo socio-economico di una determinata area.
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