L'economia bergamasca ha seguito abbastanza da vicino gli sviluppi emersi a livello nazionale, la fase di ripresa attraversata nella prima metà del 1997 ha conosciuto nel terzo trimestre ritmi di crescita piuttosto rallentati che hanno investito sia la produzione industriale che quella artigiana. Nell'ultima rilevazione presso le imprese emergono dei segnali di miglioramento: sono infatti estremamente positive le aspettative per la domanda interna e, in maniera particolare, per quella estera. Dovrebbero quindi esserci le condizioni per un riavvio del ciclo della produzione sul quale potrebbe incidere favorevolmente anche la dinamica delle scorte.
Anche in una fase di assestamento delle esportazioni italiane (che avevano registrato nel 1996 una forte crescita difficilmente ripetibile), il sistema economico bergamasco riafferma la propria superiorità nel raggiungere i mercati mondiali rispetto alle altre aree del paese. Nel corso del 1997 risulta in ulteriore aumento la quota dell'export bergamasco sul totale lombardo e nazionale. Il settore trainante è sempre quello delle macchine agricole e industriali.
Il tasso di disoccupazione è in ulteriore calo e si posiziona sui livelli minimi del Paese (3,1%). Dopo una contrazione sul finire del 1996, il sistema produttivo ha ripreso a generare posti di lavoro netti: il differenziale tra avviamenti e cessazioni di rapporti di lavoro risulta ampiamente positivo e in crescita per tutto il primo semestre del 1997. Le imprese bergamasche, nonostante il mercato del lavoro stia divenendo sempre più flessibile, non riescono però spesso a offrire occupazione ai disoccupati di lunga durata e agli ultra trentenni.
Le previsioni occupazionali formulate dalle imprese manifatturiere e di servizi per la fine del 1998 offrono segnali positivi. L'occupazione dipendente, seppur lentamente, dovrebbe ulteriormente crescere (0,4%). Come si verifica tradizionalmente, l'apporto più rilevante in termini di nuovi posti di lavoro verrà dalle micro-imprese e dal settore dei servizi.
L’utilizzo, per la prima volta in questa sede, di strumenti di analisi statistica delle fluttuazioni cicliche della produzione industriale e dell’occupazione ha inoltre mostrato che la provincia di Bergamo anticipa, in generale, le tendenze che si manifestano in Lombardia dando, così, spiegazione di alcune difformità rilevate tra l’andamento congiunturale provinciale e quello regionale.
In agricoltura si osservano andamenti positivi sia a livello provinciale che regionale, ma con tensioni crescenti sia sui mercati che nella gestione politica e amministrativa. Non bisogna sciupare l’occasione di allungare il passo nell’adattamento agli impegni presi in sede europea e mondiale, tanto più che i tentativi di sviluppare l’agricoltura e la zootecnia in senso più quantitativo che qualitativo incontrano crescenti difficoltà di mercato e gestionali. In quest’ottica gli strumenti e le risorse della politica agricola comune vanno utilizzati in modo più esteso, efficace e tempestivo.
Un’analisi condotta sulla base delle circoscrizioni del collocamento mostra che all’interno della provincia possono essere individuate
tre grandi aree:
Le piccole imprese incontrano difficoltà non solo e non tanto finanziarie (le diverse voci di spesa connesse alla procedura di certificazione assommano a circa cinquanta milioni) quanto organizzative e gestionali, riconducibili cioè a limiti culturali delle risorse umane che gestiscono le aziende, cioè a difetti di imprenditorialità. Ciò si riflette nelle motivazioni che hanno indotto le imprese a certificarsi, mediamente più "passive" nelle piccole imprese (richiesta di clienti e committenti) e più "attive" nelle medie e grandi (anticipazione dei concorrenti, visibilità, immagine).
L’esempio dei concorrenti e le richieste dei clienti e committenti di maggiori dimensioni, in grado di esercitare un ruolo di leadership, continueranno a giocare un ruolo fondamentale nell’indurre le piccole imprese a certificarsi. I soggetti pubblici e privati che si occupano della politica industriale a Bergamo possono utilmente intervenire sia con campagne di informazione (sull’esempio della recente settimana della qualità) che stimolando la messa in comune di alcuni costi della certificazione (ad esempio i corsi di formazione per il personale interessato). Perchè queste azioni risultino efficaci, è essenziale che i soggetti in questione (Camera di Commercio, associazioniimprenditoriali, consulenti vari, ecc.) si sforzino di agire in modo maggiormente coordinato.
Al contrario, la domanda di manodopera sia generica che specializzata, ma comunque dotata di titoli di studio inferiori, resta assai superiore all’offerta e le imprese denunciano quindi difficoltà a reperirla.
Per quanto riguarda le tendenze della scolarità, si osserva anzitutto che i giovani che si iscrivono alle scuole secondarie superiori aumentano di numero, ma si orientano verso diplomi "deboli" (istituti professionali) e abbandonano prima del diploma più spesso di coloro che si iscrivono ai licei classico e scientifico. Aumenta quindi il gap, in termini di investimento in educazione, tra coloro che si orientamento verso i diplomi "forti" e gli altri. Inoltre, le iscrizioni all’università sembrano in diminuzione negli atenei lombardi e italiani in generale.
Ci si trova dunque ancora di fronte al circolo vizioso, più volte segnalato negli anni scorsi, tra domanda e offerta di lavoro poco qualificato. Chi ha la responsabilità delle politiche formative deve evitare di impoverire ulteriormente l’offerta di lavoro ritagliando l’offerta formativa esclusivamente sulla domanda di brevissimo periodo del sistema delle imprese.
Il risultato principale, confermato dalle considerazioni qualitative effettuate dagli intervistati, dimostra che l’incidenza del trasporto sui costi totali è assolutamente contenuta (2.7%). Sembra tuttavia esserci un trade-off tra prezzi e qualità logistica, a sua volta coerente con una struttura industriale di dimensioni medio-piccole e di sviluppo tecnologico non sempre elevato. Le inefficienze del trasporto merci legate sia alla sua destrutturazione che alla congestione sono in questo contesto assorbite dall’elevata concorrenzialità dell’offerta, che dichiara infatti di subirne le conseguenze.
Il futuro prossimo non è roseo. I fenomeni di congestione hanno natura essenzialmente non lineare: cioè tendono ad accelerare superata una soglia critica. Vi sono quindi rischi reali di costi di trasporto rapidamente crescenti, se i trend di sviluppo del traffico lombardo si mantengono elevati. L’evoluzione della logistica potrà rispondere meglio a queste problematiche, ma le prospettive indicate richiedono anche risposte infrastrutturali e di scelta modale. Oggi il modo ferroviario è poco usato per a) l’irrilevanza dei costi del "tutto strada", per b) l’inadeguatezza del servizio intermodale, per c) la relativa arretratezza della "domanda di logistica" e, infine, nel caso specifico bergamasco, per d) la mancanza di un’infrastruttura ferroviaria adeguata.
Considerazioni analoghe valgono per il trasporto delle persone. I costi percepiti appaiono bassi (le politiche aziendali prevedono assunzioni localizzate) e sono comunque tutti "esternalizzati" dalle imprese; l’automobile domina assoluta e l’assetto disperso degli insediamenti residenziali e produttivi rende difficilissimo pensare alla possibilità di trasporti collettivi efficienti.
Anche in questo caso si devono prevedere problemi crescenti: in molte aree d’Europa il problema della mobilità degli addetti è infatti percepito dalle imprese (almeno quelle più avanzate) come un fattore importante della "qualità della vita", capace di attrarre i lavoratori più qualificati, che costituiscono per quelle imprese un "bene raro".
Già ora esistono iniziative normative sull’organizzazione aziendale della mobilità (il "mobility manager"), tendenti ad esempio a favorire l’uso associato dell’automobile (car-pool, van-pool): senza precorrere i tempi sembra quindi opportuno promuovere una cultura d’impresa non passiva su questi temi, ma attenta alle innovazioni.