Agricoltura: verso un nuovo quadro di sviluppo

Il quadro economico e politico in cui si è ritrovata ad operare l'agricoltura nel 1996 ha contribuito forse ad aumentare, piuttosto che a diradare, gli elementi di incertezza che già si erano manifestati nel periodo precedente.

Al sostanzioso slancio dell'economia di molti Paesi extra europei ed in particolare degli USA, che sta godendo di una fase particolarmente prolungata di sviluppo fondata anche su una aggressivo export agricolo, ha fatto riscontro un parziale recupero dell'economia francese e tedesca, anche se con segnali piuttosto ambigui in particolare a carico della occupazione, ed una relativa stagnazione dell'economia italiana.

Il Prodotto Interno Lordo infatti è stato negativamente influenzato dalla diminuzione dell'attività produttiva del settore industriale, il più colpito dalla stasi della domanda, connessa sia al basso tasso di occupazione che alla scarsa dinamica dei salari reali. La correzione verso un aumento di quasi un punto percentuale positivo (+ 0.7%) é stata dovuta allo sviluppo del settore dei servizi come anche all'apporto dell'attività agricola, il cui Valore aggiunto é aumentato in termini reali di quasi il 2 per cento.

D'altra parte è pur vero che lo sviluppo ulteriore del settore agricolo si é accompagnato ad un calo dell'occupazione, così che va ascritto solo al settore dei servizi vendibili di aver contenuto, anche se non del tutto, il calo di occupazione dei settori primario e secondario.

Le difficoltà del mercato del lavoro, le scarse prospettive di occupazione, le manovre in corso ed annunciate per l'aggiustamento dei conti pubblici, sia pure in vista del grande traguardo dell'Unione europea, hanno influenzato l'andamento dei consumi delle famiglie che non pare abbiano tratto molto giovamento dal calo dell' inflazione rispetto al 1995. La spesa delle famiglie per l'acquisto di beni e servizi é così rimasta stagnante, pur crescendo in termini nominali.

I consumi interni di generi alimentari e bevande sono addirittura diminuiti dell'1.3 per cento in termini reali. Questo si inscrive in una tendenza generale dei paesi ad alto reddito, in cui i consumi alimentari incidono sempre meno rispetto al totale dei consumi. Ora, in Italia, essi sono arrivati a poco più del 17 per cento, in valore, ponendosi al livello dei Paesi più avanzati dell'U.E.; la ripresa economica e lo sviluppo del reddito dovrebbe far diminuire ulteriormente il peso dei consumi alimentari, pur non diminuendone il volume assoluto.

Ci sono naturalmente diversità di comportamenti nei consumi e dunque nei mercati dei diversi beni alimentari, dove incidono fortemente fattori di qualità ed anche variazioni di costume . Una tendenza sicuramente significativa é quella dell'aumento dei consumi collettivi di ristorazione e delle modalità rapide di alimentazione.

Dal punto quantitativo si sono manifestati alcuni incrementi di consumo in particolare di pane, cereali, patate, formaggi, uova e bevande analcoliche, mentre le restanti voci dell'alimentazione ed specialmente le bevande alcoliche hanno segnato contrazioni anche significative.

Un particolare calo di consumi si é manifestato a carico delle carni bovine, fortemente penalizzate dall'allarme diffuso tra i consumatori europei dalla crisi della "mucca pazza", contro cui poco ha potuto influire la consapevolezza della relativamente buona rete di protezione attivata dai nostri servizi veterinari. I consumi di carni si sono peraltro riorientati verso le carni suine ed avicole, per una spesa complessiva di entità non molto diversa da quella precedente.

La questione dei consumi e dei consumatori assume sempre di più valenza strategica per le attività agricole, sia per l'orientamento dei comparti produttivi che nella ricerca di nuovi mercati, pur dovendo fare i conti con una sempre più pervasiva industria di trasformazione e con una sempre più concentrata attività di distribuzione, in cui, tra l'altro, stanno assumendo posizioni dominanti le imprese straniere.

In effetti, le preferenze dei consumatori si stanno spostando verso gli approvvigionamenti effettuati presso la grande distribuzione, favorendo gli alimenti confezionati. Viene notato che il relativo aumento dei consumi alimentari che avviene nel Sud sarebbe da attribuire alla modernizzazione della rete distributiva.

Il consumatore resta peraltro sensibile a linee di offerta agro alimentare che si fondano su immagini di naturalità, di autenticità, di tradizionalità, per cui si comprendono gli incrementi di numero ed il successo crescente dei prodotti con Denominazioni di Origine Controllata ovvero Protetta, con Indicazione Geografica Protetta, comunque tipicizzati e controllati, e, per altro verso, dei prodotti dell'Agricoltura biologica.

Per diventare fenomeno di massa e dunque incidere sulle prospettive del settore agro alimentare tale tendenza della domanda deve trovare un'offerta crescente di qualità nella produzione agricola.

Eventi come quelli della "mucca pazza" o come quello precedente delle sofisticazioni nella produzione viti vinicola, configurabili come crisi del sistema produttivo agro alimentare privato e pubblico, possono mettere in stallo il rapporto di fiducia su cui si basa sostanzialmente la strategia per la qualità dell'agricoltura e le sue prospettive di mercato.

La necessità di un recupero e di un ulteriore consolidamento di tale linea strategica impone una forte politica ed una condivisione di impegno da parte di tutti i segmenti della filiera dell'agro alimentare per la conquista dei consumatori e per lo sviluppo del valore aggiunto delle rispettive attività.

La produzione di materia prima agricola, espressa in termini di valore dalla Produzione Lorda Vendibile realizzata dal settore, é aumentata nel Paese di quasi il 2 per cento in quantità e del 4.7 per cento in valore. Tutti i comparti produttivi, erbacee, arboreo e zootecnico, hanno dato contributi positivi, ma é stata soprattutto la cerealicoltura che ha goduto delle maggiori spinte produttive.

Occorre sottolineare che la produzione di cereali ha raggiunto nel 1996 il massimo livello mai raggiunto dall'Unione Europea. Ciò appare largamente contraddittorio con le linee generali della politica agricola comunitaria, tesa da tempo ed in particolare dal 1992 (la nuova PAC), a contenere le eccedenze cerealicole riconducendo i prezzi ai livelli del mercato internazionale secondo gli impegni presi nel 1994 nell'ambito del GATT e ora del WTO.

L'incremento é stato dovuto a sviluppi tecnologici, ad eventi stagionali eccezionali, a una congiuntura favorevole nel mercato mondiale, ma anche alle rigidità dei meccanismi di regolazione della politica di mercato della UE.

Un andamento agro meteorologico favorevole ha consentito nella UE, anche sulla base di una maggior resistenza genetica delle piante alle avversità, di recuperare le perdite subite dalle rese nel 1995.

A livello mondiale si è risentito dei cali congiunturali di produzione dei principali Paesi esportatori (Stati Uniti, Argentina ed Australia) e dell'aumento, più strutturale, della domanda della Cina. Anche l'incremento della domanda di cereali per l'alimentazione animale verificatosi nella UE, a causa della carenza di prodotti sostitutivi, ha contribuito ad alimentare le tensioni sul mercato mondiale.

I prezzi di mercato di riferimento si sono così fortemente innalzati rispetto al prezzo di intervento comunitario, preso altrimenti come indicatore nel caso di eccedenza di offerta.

Nel contempo ha agito il meccanismo di aggiustamento della politica comunitaria che proprio dalla diminuzione programmata del prezzo di intervento, preso quale indicatore di mercato di lungo periodo, ha derivato misure transitorie ma rilevanti di compensazione del reddito che hanno in realtà incentivato la produzione, essendo poco connesse con gli sviluppi delle produttività.

Inoltre le misure di ritiro (set aside) o reimmissione delle terre coltivate nella produzione hanno seguito piuttosto i problemi del riequilibrio socioeconomico interno che quelli della regolazione dell'offerta in vista dei mercati internazionali. Si é così diminuita la percentuale di ritiro dei seminativi dalla produzione, si sono soppressi gli incrementi supplementari al ritiro fisso, non si sono sostituiti i ritiri dovuti alla scadenza del regime quinquennale precedentemente avviato, non si è preventivato il richiamo di superfici da altre produzioni alle colture cerealicole, oleaginose e proteaginose, così che si è reimmessa nella produzione una grande quantità di terre.

Si é lasciato in altri termini agire strumenti di carattere strutturale in chiave congiunturale di mercato. Ciò ha dato luogo alla diversione di consistenti risorse verso settori strutturalmente eccedentari che godevano solo di una congiuntura palesemente eccezionale.

Per effetto dei vari fattori indicati, a livello comunitario lo scarto tra diversi prezzi di mercato e prezzi di intervento ha a volte superato, su taluni mercati rappresentativi il 20 per cento per il frumento, il 40 per cento per l'orzo e il 45 per cento per il granoturco. Soltanto nel secondo semestre 1996, quando si é cominciato a conoscere e a commercializzare il raccolto 1996, i prezzi di mercato sono ritornati al livello del prezzo di intervento.

Il 1996 si é quindi chiuso anche in Italia, con prezzi di mercato dei cereali cedenti, che sono stati comunque compensati dalle crescite delle quantità prodotte. Da questi andamenti ha potuto trarre beneficio la attività zootecnica che, particolarmente nel nostro Paese, si fonda sull'apporto di mangimi a larga base cerealicola.

La PLV agricola nazionale dell'anno 1996 é stata così calcolata in quasi 70mila miliardi di Lire correnti, di cui oltre la metà al Nord, il 36 per cento al Sud ed il resto nel Centro.

La Lombardia ha contribuito al risultato nazionale con circa 10.100 miliardi (14.4%). La Provincia di Bergamo ha a sua volta contribuito alla Produzione Lorda Vendibile lombarda con oltre 700 miliardi.

A questa produzione ha contribuito in larga parte il settore zootecnico, che in Lombardia ha pesato per il 74 per cento mentre in provincia di Bergamo ha contato ancora di più (oltre l'80%). Per questo l'andamento del settore vegetale ha avuto conseguenze meno pesanti nell'agricoltura locale.

Nella regione le produzioni vegetali hanno avuto un incremento produttivo di oltre il 6 per cento, mentre in valore esse sono aumentate di poco più del 3 per cento. Tra di esse, le colture cerealicole che ne costituiscono una buona parte, hanno avuto l'andamento meno positivo, essendo aumentate in quantità di circa il 15 per cento, ma essendo calate in valore complessivo di quasi un punto percentuale.

Tra i cereali il frumento ha avuto incrementi produttivi del 4 per cento ma una caduta di prezzo del 9 per cento; l'orzo é aumentato del 3 per cento ma i suoi prezzi sono diminuiti del 14 per cento; il mais, infine, la più importante coltura regionale, ha avuto incrementi produttivi del 34 per cento ma un calo delle quotazioni del 15 per cento.

In provincia di Bergamo, le produzioni unitarie di orzo e frumento in particolare sono apparse buone, mentre la superficie investita si é ridotta mediamente del 9 per cento. Questa diminuzione é da riferire alle diverse convenienze create dai contributi della PAC ai produttori che prevedevano compensi più elevati per le colture proteiche, oleaginose e al mais.

In effetti, in provincia di Bergamo si é rilevata nel 1996 una crescita del 20 per cento della superficie investita a mais, la cui causa è da attribuire ai risultati economici assai positivi del 1995, fondati sugli alti prezzi di mercato e sui contemporanei contributi comunitari ai produttori.

Durante il 1996 é cambiato, come si é indicato, l'andamento generale di mercato e le quotazioni si sono ritrovate, alla fine del 1996, diminuite del 25 per cento.

Occorre peraltro ricordare che la coltura del mais é destinata all'uso zootecnico, quindi l'aumento della produzione ed il calo del prezzo tende ad essere favorevole per i produttori zootecnici, siano essi acquirenti che autoproduttori di mais. Il mais inoltre può essere destinato, come avviene normalmente per un'altra gran parte di questa coltivazione, all'alimentazione zootecnica aziendale tramite l'insilamento. I produttori hanno quindi margini di flessibilità per un adattamento ai mutati quadri di prezzo.

Le colture proteiche ed oleaginose hanno avuto stimoli e sostegni alquanto differenziati, per cui a livello regionale e in parte anche in provincia di Bergamo ha avuto un buon incremento di produzione e di ricavo la soia ed anche la colza, mentre andamento negativo ha manifestato il girasole, anche a causa del calo della percentuale della superficie da destinare a riposo prevista dalla PAC dove si concentrava la maggior parte di tale coltura.

Queste colture, importanti dal punto di vista agro industriale nel quadro di una riconversione dei tradizionali indirizzi produttivi agricoli, stentano a trovare un definitivo radicamento tecnico ed economico nel quadro dell'agricoltura regionale ed anche di quella bergamasca, sia per problemi agronomici, sia per l'intensa specializzazione zootecnica dell'agricoltura locale.

La Produzione lorda vendibile realizzata dalla zootecnia lombarda, che é il comparto trainante dell'intera economia agricola della regione ed é una componente strategica del sistema agro industriale italiano, ha raggiunto nel 1996 un valore di quasi 7.500 miliardi a livello regionale, crescendo del 4.5 per cento in termini valutari e di quasi il 2 per cento in termini reali.

Si stima che a tale valore la Bergamasca abbia dato un contributo di oltre l'8 per cento.

Nel suo ambito hanno avuto un forte impatto la crisi della cosiddetta "mucca pazza", che ha fatto diminuire drasticamente la domanda di carni bovine dirottando i consumi verso ulteriori richieste di carni alternative (suine, avicole, cunicole, ecc.), e così anche il problema delle quote di produzione del latte, che ha messo in tensione crescente il mercato del prodotto e le prospettive imprenditoriali ed operative del comparto

In effetti, a livello lombardo, malgrado il tentativo di mettere ordine nella produzione lattiera secondo una più rigorosa applicazione dei regolamenti comunitari sulla limitazione della produzione di latte, si é rilevato che il latte prodotto é aumentato nel 1996 di quasi il 2 per cento, sfiorando i 40 milioni di quintali, cioè quasi il 40 per cento del probabile totale nazionale, che é in corso di accertamento.

In provincia di Bergamo pare che vengano ufficialmente confermati i dati di produzione di latte dell'anno precedente, cioè circa 3 milioni di Q.li.. Risultano peraltro alquanto dubbi i dati di riferimento delle rese produttive, per cui potrebbero risultare fuori di tale controllo delle partite di prodotto che certamente non hanno mancato, nel caso, di trovare il loro sbocco di mercato.

L'andamento dei prezzi del latte é stato nel 1996 sicuramente positivo, aumentando globalmente del 3.5 per cento, ma l'aumento del latte alimentare é stato particolarmente elevato, cioè del 10 per cento, in quanto sostenuto dall'accordo inter professionale tra produttori zootecnici ed industriali.

Il prezzo del latte destinato alla caseificazione ha avuto invece aumenti più contenuti, anche se variabili, a causa delle quotazioni non sempre positive dei formaggi stagionati, come il Grana, e delle ampie disponibilità di latte a basso prezzo proveniente dall'estero che viene ampiamente utilizzato, anche in Lombardia, soprattutto per i prodotti di trasformazione più correnti.

Il settore delle carni ha manifestato una crescita in termini sia reali, del 2.5 per cento a livello regionale, ma anche delle quotazioni complessive, naturalmente per l'influenza dell'accresciuta domanda delle carni alternative a quella bovina, in quanto i prezzi di quest'ultima hanno risentito della crisi europea della "mucca pazza".

La scarsa richiesta di carne bovina da parte dei mercati ha causato sia l'abbassamento dei suoi prezzi, sia l'aumento della produzione dovuto alla maggiore crescita ponderale degli animali trattenuti in stalla per tempi più lunghi in attesa di un miglioramento della situazione dei mercati. I due fattori hanno causato l'aumento della produzione del 2 per cento circa a livello regionale, ed una diminuzione complessiva del 10 per cento circa del prezzo delle carni bovine.

L'allevamento suino ha potuto godere di questa congiuntura eccezionale che ne ha stimolato sia lo sviluppo produttivo, del 4 per cento al livello regionale, che un aumento dei prezzi di un altro 4 per cento.

Di tale congiuntura ha tratto benefici ancora più rilevanti il comparto avicolo che mantenendo il livello produttivo ha visto crescere del 12 per cento i prezzi delle carni e di quasi il 20 per cento quello delle uova.

Queste produzioni zootecniche risultavano già consistenti in provincia di Bergamo e gli andamenti di mercato in corso le hanno stimolate così che nel complesso si può stimare la relativa PLV intorno ai 400 miliardi.

Accanto alle produzioni tradizionali di base coestono nell'agricoltura bergamasca slcune attività produttive di alto pregio e di crescente importanza economica date anche le favorevoli tendenze della domanda.

Le colture orticole specializzate, ma sopratutto le colture floricole e vivaistiche hanno visto una crescita continua del valore della loro produzione, che nel 1996 si può stimare sia arrivato a 100 miliardi.

Anche la limitata, ma nota produzione vitivinicola va citata in questo contesto, visto che assume un rilevante significato di qualificazione e d'immagine per l'agricoltura bergamasca. Si può stimare che abbia raggiunto nel 1996 un valore economico di 15 miliardi.

I costi variabili della produzione agricola sono stati all'incirca il 40 per cento della Produzione lorda vendibile abbastanza in linea con la media comunitaria. Essi si sono mantenuti praticamente fermi rispetto all'annata precedente, anzi sono leggermente diminuiti in termini reali.

Il fatto é che diversamente dalle altre agricolture continentali, quella lombarda ed anche la bergamasca spendono molto per il nutrimento degli allevamenti, sia per poterli espandere che per sostenerne l'alta produttività. La Lombardia ha speso 2200 miliardi in mangimi nel 1996 e si può indicare in circa 150 miliardi la spesa nella Bergamasca.

Tale voce di spesa é rallentata nel 1996, diminuendo di oltre il 2 per cento in termini reali a causa della diminuzione del patrimonio zootecnico, sia bovino che suino. In termini di valore la diminuzione é stata ancora più forte in quanto sono diminuiti i prezzi dei cereali, che sono alla base dei mangimi impiegati, calati del 5 per cento in un anno.

Le altre componenti mangimistiche, specie quelle proteiche, hanno invece risentito della crisi della "mucca pazza" proprio perché tramite gli scarti zootecnici e di macello riutilizzati a fini mangimistici si é avuto, probabilmente, la maggiore diffusione del morbo tra gli allevamenti europei. Quindi la sostituzione di tali componenti con altre di uguale valore nutrizionale fa innalzare i prezzi di prodotti come i panelli di soia ed altri. Questi aumenti hanno quindi quasi annullato le economie dovute al calo dei prezzi dei cereali.

Per quanto riguarda i costi imputabili alle coltivazioni vegetali si é verificato un aumento medio del 3 per cento delle spese per fertilizzanti e addirittura una diminuzione del volume di spesa per gli antiparassitari.

In tutte e due i casi é avvenuto un minore impiego reale, in particolare di antiparassitari, la cui quantità impiegata é calata di quasi il 3 per cento.

Per questi fattori chimici di produzione oltre che di un calo per diminuzioni di superfici coltivate, si può parlare di un contenimento congiunturale di impiego a seguito di aspettative di prezzi calanti dei prodotti.

I prezzi dei fertilizzanti e degli antiparassitari sono aumentati rispettivamente di poco meno del 4 per cento e del 2 per cento.

Tali aumenti, per quanto sensibili e incisivi in momenti di prezzi calanti dei prodotti, sono stati comunque più contenuti di quelli degli anni precedenti, per merito dell'apprezzamento della lira e della stabilità dei prezzi delle materie prime acquistate all'estero.

Si deve però anche indicare l'effetto di una crescente razionalizzazione e cautela nell'impiego di tali fattori chimici, potenzialmente pericolosi per l'ambiente ed i consumatori; ciò é dovuto sia alla migliore competenza tecnica dei produttori, che all'attenzione crescente degli Enti pubblici, a cominciare dalla UE, e dei cittadini per una agricoltura più eco compatibile.

In questa direzione un uso sempre più avanzato e mirato di sementi, oggi in via di considerevole miglioramento anche a causa degli sviluppi delle biotecnologie, può esaltare fenomeni di adattamento e di resistenza alle malattie ed ai parassiti delle coltivazioni e quindi rendere meno necessari sia certi impieghi di prodotti chimici, sia la necessità di accrescere le loro dosi per mantenerne l'efficacia difensiva

Nel complesso dei costi variabili le spese per concimi ed antiparassitari hanno pesato per circa il 9 per cento del totale regionale e si può indicare in circa 18 miliardi la spesa effettuata nella Bergamasca.

La spesa per l'acquisto di sementi appare in leggero aumento nel 1996, anche a causa delle già ricordate difficoltà congiunturali di certe coltivazioni. Tale spesa ha pesato per poco meno del 4 per cento sul totale regionale dei costi variabili; per la bergamasca si può stimare un costo di circa 11 miliardi.

Sono da segnalare gli incrementi piuttosto rilevanti delle spese per i prodotti energetici. Malgrado il contenimento dei consumi di carburanti e lubrificanti, l'incremento dei loro prezzi, dovuto al rincaro dei prodotti petroliferi, ha dato luogo a un consistente aumento di spesa (+ 12%).

Al contrario, l'energia elettrica ha avuto una crescita di prezzo minore, ma il maggior ricorso che si é fatto a questa fonte energetica, il cui consumo é aumentato di oltre il 13 per cento, ha portato la spesa ad aumentare del 15 per cento.

I costi energetici hanno pesato per oltre l'11 per cento sul complesso dei costi variabili e per la Bergamasca si può stimare un costo per il 1996 di quasi 27 miliardi.

Altri costi variabili, attribuibili essenzialmente a certe forniture complesse (acqua irrigua) e servizi (meccanici ed altri) hanno pesato per circa il 20 per cento del totale, costituendo quindi un capitolo rilevante dei costi di produzione dell'agricoltura lombarda e bergamasca.

La loro tendenza inoltre si manifesta verso una crescita costante, intorno al 3 per cento reale all'anno, riflettendo le esigenze di unità produttive che abbisognano sempre di più di apporti esterni di servizi all'azienda, data anche la continua diminuzione della occupazione, in particolare delle componenti di lavoro autonomo e di piccola impresa nell'agricoltura professionale.

Si stima che nella Bergamasca siano stati spesi nel 1996 per queste prestazioni e servizi intorno ai 55 miliardi.

Il complesso delle analisi compiute sulle voci di produzione e di costo variabile dà le basi per valutare il Valore aggiunto dell'agricoltura.

A livello regionale si sono superati i 6100 miliardi con un incremento di oltre il 6 per cento rispetto al 1995, dovuto in gran parte all'aumento produttivo piuttosto che all'incremento dei prezzi, che, anzi, sono aumentati di meno di quelli dei fattori, specie nel caso delle produzioni vegetali.

Migliore é stato invece l'andamento del Valore aggiunto nel settore zootecnico, per il contemporaneo aumento dei prezzi dei prodotti e calo di quelli dei fattori produttivi principali.

Le agricolture a più spinta specializzazione zootecnica e con più componenti produttive specializzate (floricoltura, viticoltura, ecc.) hanno quindi visto crescere relativamente di più il valore aggiunto agricolo. Si può stimare che quello della provincia di Bergamo sia arrivato intorno ai 500 miliardi.

Questo valore aggiunto ai prezzi di mercato dovrà essere probabilmente corretto in aumento quando si avranno migliori rilevazioni e conoscenze sulla produzione lattiera e su certe colture specializzate, come quelle orticole e floricole.

In ogni caso ad esso vanno aggiunti i contributi alla produzione derivanti dalle varie normative comunitarie, al netto naturalmente di eventuali sanzioni o di altri provvedimenti amministrativi.

Si può intanto stimare che si potrebbe indicare l'effetto di queste misure in circa il 5 per cento di incremento del Valore aggiunto, facendo arrivare la valutazione del Valore aggiunto da distribuire ai fattori almeno a 525 miliardi per il 1996.

Parte di questo valore aggiunto va a ripagare i finanziamenti ottenuti dal sistema creditizio. L'esposizione per finanziamenti a breve termine é risultata particolarmente bassa nella bergamasca rispetto al resto della Regione.

Il finanziamento oltre il breve termine per gli investimenti in agricoltura é pure risultato, proporzionalmente al Valore aggiunto, inferiore alla media lombarda. All'inizio del 1996 la consistenza dell'indebitamento era di quasi 430 miliardi, in gran parte, il 95 per cento, senza agevolazioni.

La maggior parte di questi finanziamenti, l'82 per cento, riguardava l'acquisto di immobili rurali, mentre un altro 8 per cento, peraltro per due terzi agevolato, finanziava la costruzione di fabbricati rurali.

Il resto dell'indebitamento, l'11 per cento del totale, era stato destinato all'acquisto di macchinari, attrezzature ed altri mezzi tecnici.

Al netto degli interessi per questi finanziamenti si ritrova il compenso per i mezzi propri investiti dagli agricoltori e il reddito lordo del lavoro.

La questione della valutazione della occupazione nell'agricoltura bergamasca é sicuramente più complesso che precedentemente, data la lontananza dei Censimenti e le valutazioni di larga massima che ne danno le fonti statistiche, anche regionali.

La valutazione é che ci sia stato un ulteriore abbandono dell'attività agricola in linea con le tendenze verificatesi in Lombardia, dove nel 1996 l'occupazione agricola é diminuita nel 1996 di quasi il 10 per cento . Oltre ad aver risentito dei fattori di crisi in corso nel comparto bovino e del latte, vi é stata la maturazione, per un rilevante numero di addetti, dei requisiti minimi per usufruire delle prestazioni previdenziali, sia per fattori demografici, sia in seguito al termine dei blocchi imposti dalla riforma pensionistica.

Difficile é quindi dire come venga distribuito il Valore aggiunto a compenso dell'attività di lavoro diretto in agricoltura, specie in realtà estremamente variegate dal punto di vista economico e sociale come quella bergamasca, dove la pluriattività, il lavoro accessorio, la valorizzazione del lavoro anziano, forme diverse di impiego di attività dipendente consentono di mantenere un modello flessibile e, sembra, duraturo del complesso delle attività agricole.

Indubbiamente anche nella realtà agricola bergamasca la parte più consistente dell'attività agricola, in particolare di quella zootecnica, è riferibile ad un nucleo poco numeroso ma solido di imprenditori, che si avvalgono di una rete di servizi di vario tipo, organizzativo, amministrativo, tecnico, di origine pubblica e privata, tradizionalmente robusta e competente.

Di questi servizi, specialmente di quelli più diffusi sul territorio, pubblici ma anche privati e associativi, si possono avvalere anche gli operatori più marginali, dando così più consistenza alla attuale struttura produttiva ma anche più prospettive alla necessaria trasformazione strutturale.

Di questa va a farsi carico una amministrazione pubblica in agricoltura che nel 1996 é stata ulteriormente sollecitata a trasformarsi e a rendersi più capace ed adeguata ai fabbisogni territoriali e reali. In questa direzione stanno spingendo le amministrazioni locali, sollecitando anche il Governo regionale al decentramento ed alla riorganizzazione burocratica e funzionale, per non cadere a sua volta in una sorta di centralismo burocratico.

Gli impegni di tale trasformazione strutturale sono stati segnati dalla grande concertazione Comunitaria e dagli accordi internazionali che stanno accompagnando e regolando, sia pur tra contrasti e conflitti i processi di globalizzazione.

Gli obiettivi della economia agraria comunitaria e quindi anche di quella nazionale e locale, sono stati così definiti:

far sì che la Unione europea conservi la posizione di grande produttrice ed esportatrice agricola, rendendo i suoi agricoltori più competitivi sui mercati interni ed esterni;

ridurre la produzione portandola ad un livello più vicino alla domanda di mercato comunitario;

privilegiare nell'assegnazione degli aiuti al reddito gli agricoltori che ne hanno più bisogno;

incoraggiare gli agricoltori a rimanere nelle campagne;

tutelare l'ambiente e sviluppare le naturali potenzialità delle zone rurali.

Questi obiettivi si sono tradotti sia in regimi di contenimento produttivo (le quote latte, ecc.) che in riduzione dei livelli protezionistici delle grandi colture granarie, per rendere la produzione agraria comunitaria più compatibile con le quotazioni internazionali.

Per ottenere ciò si é individuato un periodo di transizione che risulta troppo lungo e un sistema di misure di accompagnamento ovvero di compensazione ed aiuto ai produttori che si sta dimostrando rigido in vari sensi.

Innanzitutto, non é in grado di reagire prontamente alle fluttuazioni di un mercato mondiale che é troppo sensibile alle crisi di domanda e di offerta che sorgono a livello regionale.

Inoltre, crea difficoltà all'entrata nella UE di Paesi associati o candidati (Paesi del Mediterraneo, dell'Europa centro orientale, ecc,) che hanno consistenti e magari competitivi settori agricoli.

Infine, é troppo condizionato dalla capacità ed efficienza delle amministrazioni e delle burocrazie locali.

E' in corso quindi un intenso dibattito sulla riforma sia delle organizzazioni di mercato, che si vogliono più eque e più attente alle necessarie trasformazioni strutturali, che delle misure strutturali, la cui efficacia va rivolta a obiettivi di sviluppo meno settoriale e più integrato.

Nell'Agenda 2000, elaborata nel 1996 dalla Commissione della UE, si propone una maggiore concentrazione ed una limitazione delle aree territoriali di intervento. Le attuali misure strutturali destinate all'agricoltura: l'Obiettivo 5a, che opera nelle regioni di normale sviluppo per accelerare l'adeguamento delle strutture agrarie nella prospettiva della riforma della PAC, e l'Obiettivo 5b, che opera in zone di minor reddito agricolo o marginali delle regioni di normale sviluppo, come ad esempio la montagna, dovrebbero essere inserite in un nuovo Obiettivo 2, che includerà anche le zone di declino industriale e altre zone urbane e rurali in crisi per la perdita di attività economiche.

Per le zone rurali ammissibili al nuovo Obiettivo 2 dei Fondi strutturali, le misure di sviluppo rurale saranno finanziate dal FEOGA, sezione Garanzia, cioè dai fondi per la regolazione dei mercati, in quanto misure di accompagnamento del riorientamento della politica di mercato.

In tale contesto la politica non più solo agricola, ma rurale della UE comprenderà tutti i tipi di provvedimento a sostegno dell'adeguamento strutturale e dello sviluppo rurale.

Questi interventi saranno applicati orizzontalmente, cioè secondo modalità amministrative integrate, sia a livello comunitario che nazionale, ed attuati in maniera decentrata, su iniziativa e col cofinanziamento degli Stati membri.

Si tratta dello sviluppo di una politica che ha radici lontane nei tentativi di politica strutturale comunitaria degli anni '60 e '70, ma le cui ragioni oggi emergono prepotentemente. Le proposte traggono ispirazione soprattutto dalle esperienze di altri Paesi della UE, ma anche nel nostro hanno avuto riscontro in vari tentativi ed esperienze politiche ed amministrative: le Comunità montane, le Regioni, il processo di decentramento in corso.

Occorre riconoscere che la attuale fase di trasformazione e di sviluppo dell'UE e del nostro Stato possono ritrovarsi in un processo di coinvolgimento e di crescita delle amministrazioni e delle comunità locali nell'uso accorto e responsabile delle risorse e nella promozione di uno sviluppo equo e sostenibile di un'agricoltura moderna e rispondente a plurimi bisogni sociali.

Ciò darà impulso e significato alla riforma degli organismi statali di amministrazione e di intervento in agricoltura e nelle attività connesse, che dovranno impegnarsi soprattutto nella formulazione e nella attuazione di politiche generali di sviluppo strategico, come quella, ad esempio, della ricerca applicata che impongono attuazioni concrete tramite un forte radicamento territoriale, con il coinvolgimento di energie e risorse locali pubbliche e private.

Un concreto esempio di tale innovazione politico amministrativa potrà essere il rilancio del prestigioso Istituto di sperimentazione per la Cerealicoltura di Stezzano quale punto di riferimento per la promozione e l'applicazione di attività in campo genetico e biotecnologico a servizio non solo di iniziative nazionali ma anche di un vasto tessuto tecnico e produttivo agro forestale ed industriale locale e regionale.


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