Capitolo 3
Gestione della qualità e certificazione nelle piccole imprese

 
3.1 La certificazione dei sistemi qualità si diffonde

Secondo la definizione dell’ISO, un sistema di garanzia della qualità (d’ora in poi: QS) è "quell’insieme di struttura organizzativa, responsabilità, procedure, attività, capacità, risorse che garantisce che i prodotti, i processi o i servizi rispondano ai requisiti di qualità". Perchè sono sempre più numerose le imprese che certificano il proprio QS anche in Italia? Le spiegazioni si riducono sostanzialmente a tre, distinte e concomitanti.

Spingono alla certificazione, in primo luogo, le nuove caratteristiche della competizione internazionale sui mercati dei beni e dei servizi tradable, che impongono alle imprese localizzate nei paesi di antica industrializzazione di sfuggire alla concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro puntando su produzioni ad alto valore aggiunto caratterizzate da un contenuto sempre più elevato di qualità e di servizio. Queste strategie vanno anche incontro alla crescente domanda di qualità e di affidabilità che i mercati e le autorità pubbliche dei paesi più avanzati esprimono per ragioni legate alla tutela dei consumatori, della sicurezza e dell’ambiente. La globalizzazione - ossia il processo che, attraverso il progressivo abbattimento delle barriere commerciali, tende a fare dell’intero pianeta un’unico mercato regolato da norme e consuetudini comuni - comporta poi sempre più di frequente il contatto tra operatori pubblici e privati di paesi diversi che, non avendo alle spalle una lunga consuetudine alla collaborazione, ha bisogno del "biglietto da visita" degli interlocutori originari di altri paesi.

Un secondo ordine di motivi che spingono alla certificazione sta nelle riorganizzazioni produttive in atto su scala internazionale, che altro non sono che la conseguenza della globazlizzaione vista dal lato delle imprese. Le grandi e medie imprese che operano sui mercati mondiali, dovendo fronteggiare una domanda crescente di qualità e servizio, ridislocano ormai le proprie attività e funzioni aziendali su aree geografiche sempre più vaste, alla ricerca del miglioramento continuo della propria efficienza ed efficacia. Fa parte di questa tendenza il monitoraggio continuo della performance dei propri fornitori e subfornitori, ai quali sempre più spesso si richiede ormai la certificazione del QS. E’ in corso in effetti su scala internazionale un processo di riorganizzazione delle reti internazionali di (sub)fornitura caratterizzato da una drastica riduzione del numero degli interlocutori delle imprese più grandi, che vengono scelti tra le imprese più strutturate e capaci di garantire standard elevati. Saranno poi questi ultimi a subappaltare a loro volta fasi di lavorazione e servizi a fornitori di seconda istanza, magari non più certificati, sotto la propria diretta responsabilità. I sistemi di monitoraggio della performance dei fornitori si sono evoluti ed affinati col tempo, e tendono ormai ad essere basati sulla periodica rilevazione di una serie di indicatori di qualità e servizio (pezzi difettosi, ritardi di consegna, ecc.) in base ai quali viene assegnato ad ogni singolo fornitore un punteggio; chi resta per un po’ al disotto di soglie prestabilite di punteggio verrà eliminato dall’elenco dei fornitori.

Un terzo ordine di cause del crescente ricorso alla certificazione dei QS è la politica comunitaria di normalizzazione, le cui linee attuali sono state messe a punto progressivamente, a partire dai tardi anni Ottanta, nel corso del processo di completamento del mercato interno della Comunità. L’eliminazione delle cd. barriere tecniche agli scambi intracomunitari, date dal proliferare di norme (volontarie) e regole (obbligatorie) sui prodotti emanate dai singoli paesi membri per scopi di tutela dei consumatori, dell’ambiente, della sicurezza, è stata perseguita attraverso una politica tendente a:

Emerge qui l’obiettivo "industriale" della politica comunitaria (aggiuntivo rispetto alla pura e semplice garanzia della libera circolazione), che è quello di accrescere la competitività dei produttori europei attraverso il perseguimento delle economie di scala che discendo dall’allungamento dei lotti di produzione consentito dall’adozione di standard comuni.

Col passare del tempo, i tratti caratteristici di questa vera e propria strategia industriale dell’Unione Europea si sono precisati e accentuati, in particolare da quando si è stabilito di fissare i requisiti essenziali e le norme comuni di cui sopra al più alto livello qualitativo, in modo da massimizzare il perseguimento degli obiettivi di interesse collettivo sopra richiamati.

Sempre più spesso, le direttive di armonizzazione secondo il nuovo approccio sopra richiamato impongono, nei casi in cui siano in gioco i superiori interessi collettivi di cui sopra, la messa in opera di sistemi di qualità aziendali che garantiscano l’affidabilità (costanza della qualità) dei processi produttivi e la rintracciabilità dei lotti di prodotto anche dopo la loro immissione sul mercato. A tal fine, la Comunità Europea ha adottato le norme della serie ISO 9000, e precisamente la ISO 9001 (assicurazione della qualità nella progettazione, sviluppo, fabbricazione e assistenza), la ISO 9002 (idem, solo fabbricazione e assistenza) e la ISO 9003 (assicurazione della qualità nelle prove, nei controlli e nei collaudi finali).

Va infine ricordato, per completezza, che l’adozione di un QS aziendale non è che un passo verso l’attuazione di una strategia aziendale che faccia della qualità e della soddisfazione del cliente il proprio obiettivo principale, secondo i noti principi del Total Quality Management.

3.2 Le imprese certificate in Italia, in Lombardia e a Bergamo

Secondo informazioni recenti, le imprese italiane certificate erano oltre 4200 alla fine di marzo del 1997, il 50 per cento delle quali localizzate in Lombardia. In termini dimensionali, solo l’8 per cento delle aziende fino a 15 dipendenti risultava certificata, mentre per le classi dimensionali superiori la percentuale delle imprese certificate sul totale oscillava tra il 25 e il 35 per cento circa. I settori più interessati erano quelli dei "metalli e loro leghe, fabbricazione di prodotti in metallo" e delle "macchine elettriche ed apparecchiature elettriche ed ottiche", che da soli rappresentano, in parti grosso modo uguali, circa il 60 per cento di tutte le imprese certificate. Escludendo dal computo le unità con meno di 15 addetti, le imprese certificate rappresentavano a quella data circa il 5 per cento del totale delle imprese nei settori rilevanti; includendo invece le piccole e piccolissime imprese (che sono la classe dimensionale più numerosa!) nel conto, la percentuale scende al disotto dello 0,5 per cento.

Bergamo e Brescia sono, dopo Milano, le provincie lombarde in cui le imprese certificate sono più numerose. Le tabelle da 3.1 a 3.6 documentano più specificamente la numerosità delle imprese certificate a Bergamo e in Lombardia e la loro incidenza sul totale delle imprese. Pur non essendo queste informazioni comparabili colle precedenti data la diversità delle fonti e delle metodologie utilizzate, si ha l’impressione che:

3.3 Le piccole imprese e la certificazione (motivazioni, costi, difficoltà)

Sia dalla breve indagine effettuata in occasione della preparazione di questo Rapporto che da altre recentisi desume che le motivazioni più frequenti per cui le imprese investono nella certificazione del QS aziendale sono prevalentemente di natura per così dire "passiva", dettate cioè dalla necessità di soddisfare esplicite richieste di clienti e committenti e/o obblighi di legge (ad esempio, requisiti per la partecipazione a gare d’appalto). Sono invece meno frequenti, e più tipiche nelle grandi imprese, le certificazioni conseguite per anticipare i concorrenti e migliorare sia la qualità dei prodotti che l’immagine e la visibilità dell’impresa.

La chiave di lettura di questi risultati è data verosimilmente dalla natura delle principali difficoltà che ostacolano la certificazione da parte delle piccole imprese, che sono non tanto e non solo di natura finanziaria, quanto, e forse soprattutto, legate alla carenza di risorse umane qualificate, in primis imprenditoriali, in grado di gestire l’adeguamento organizzativo richiesto dalla certificazione.

Pur essendo tutt’altro che assente dalla cultura e dall’esperienza del piccolo imprenditore italiano, la qualità è infatti per esso qualcosa che attiene al rapporto di fiducia con il cliente, all’esperienza passata che ha dimostrato a quest’ultimo l’affidabilità del suo (sub) fornitore. Quest’ultimo mal sopporta invece il delicato passaggio da quella che è stata definita "qualità di fatto", e che non ha mai avuto bisogno come tale di essere certificata, ad una "qualità formalizzata" che è l’essenza della certificazione del QS e che si rende necessaria per le ragioni accennate nel par. 1. Appare in sostanza "contro natura" al piccolo imprenditore italiano il dover accettare quella che percepisce come un’intrusione nella sua organizzazione aziendale, che si è sempre caratterizzata per la sua estrema flessibilità e "discrezionalità" che la rendevano disponibile ad accomodare richieste anche molto stringenti da parte della clientela migliore. Ciò comporta tra l’altro il rischio di un’adozione puramente burocratica del QS, che rimane poco integrato nelle strategie dell’azienda se quest’ultima non persegue azioni di razionalizzazione organizzativa basate sull’assunzione della qualità quale obiettivo strategico.

Il costo della certificazione del QS non è peraltro totalmente irrilevante. Esso raggiunge facilmente, in media, i 50-60 milioni, metà dei quali destinati alle consulenze che portano "chiavi in mano" alla certificazione e il resto, in misura variabile, agli strumenti di misura, ai corsi di formazione per il personale e alle spese dirette connesse alle procedure di certificazione. Le imprese che si avviano con più genuina convinzione verso la certificazione non sembrano tuttavia considerare tali costi come ostacoli insormontabili. La spesa annua per il mantenimento della certificazione, dopo il suo conseguimento, è stimabile in alcuni milioni destinati alla taratura degli strumenti di misura e alla formazione del personale.

Altri ostacoli "esterni" sono la possibile carenza di informazioni e la difficoltà, per le imprese più piccole, di individuare interlocutori esterni adeguati.

3.4 Gli interlocutori delle imprese e le politiche pubbliche

Dall’indagine svolta, coerentemente con altre informazioni già acquisite in passato, è risultato che gli interlocutori principali delle imprese bergamasche per i temi della qualità e della certificazione sono le associazioni imprenditoriali (industriali e artigiane) e il variegato mondo della consulenza.

Le prime si occupano essenzialmente di diffusione delle informazioni (attraverso iniziative sia periodiche, come le sessioni del Club della Qualità, che occasionali come la recente Settimana della Qualità) e di formazione. Il loro fine è essenzialmente quello di far crescere la consapevolezza delle imprese attorno a questi temi.

I consulenti aziendali vengono interpellati essenzialmente a seguito di una decisione già assunta, e il loro compito è quello di condurre l’impresa alla certificazione. Il livello di professionalità dei consulenti, da cui discende la loro efficacia e quindi il posizionamento di ciascuno in termini di qualità e prezzo, sembra assai variabile e non sempre adeguato. In altre provincie, le stesse funzioni sono svolte in misura rilevante da centri di servizio alle imprese.

Il ruolo potenzialmente positivo di tutti questi interlocutori deve affrontare quotidianamente il problema di come avvicinare le imprese minori, così numerose a Bergamo, con le tematiche della qualità.

Un ruolo positivo sembra essere stato giocato, in Lombardia, dalla legge n. 41/90, poi modificata dalla legge n.7/93. che concede un rimborso pari al 30 per cento delle spese ammissibili (e comunque non superiore a 120 milioni per impresa) per la messa in atto di sistemi qualità secondo le norme ISO 9000, per certificazione di prodotti e per investimenti materiali destinati al miglioramento della qualità. In molti casi, tuttavia, interventi di sostegno puramente finanziario non sembrano aver sortito i risultati sperati o sono intervenuti in un contesto in cui la certificazione era più che altro vista come l’ennesimo adempimento burocratico, come è del resto logico attendersi quando la natura dell’ostacolo da superare da parte delle imorese ha a che fare con limiti dell’imprenditorialità e delle risorse umane più che con carenze di capitale fisico.

Lo stimolo proveniente da clienti e committenti continuerà a svolgere un ruolo fondamentale nello spingere le piccole imprese verso la certificazione. Per il resto, i soggetti pubblici e privati che operano sul territorio possono utilmente intervenire sia con campagne di informazione che studiando la possibilità di stimolare la messa in comune di alcuni aspetti del percorso verso la certificazione ed i relativi costi (come quelli riguardanti l’acquisizione di informazioni e consulenze e la formazione per il personale interessato). Perchè queste azioni risultino efficaci, è però importante che i soggetti in questione (Camera di Commercio, associazioni imprenditoriali, centri di servizio, consulenti vari, ecc.) si sforzino di agire in modo maggiormente coordinato.

 


 



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