5.1. Il problema
Il tradizionale ritardo dell’area orobica, rispetto alla regione e alla nazione, negli investimenti in istruzione sembra avviato a diminuire, perlomeno per quanto concerne il grado di scolarità media superiore.
Sistema formativo e mondo del lavoro però sembrano ancora molto distanti tra loro.
Ne conseguono problemi sia sul versante dell’offerta sia su quello della domanda.
La scelta relativa al grado d’investimento in istruzione operata nel sistema familiare dipende sostanzialmente da tre fattori: i segnali provenienti dal mercato; l’obiettivo di migliorare le condizioni di tutti i membri del nucleo, in particolare dei figli; l’attesa che un incremento d’istruzione favorisca un maggior benessere ed un reddito più elevato. Il sistema delle famiglie possiede elementi informativi per privilegiare uno specifico percorso scolastico e formativo in questa direzione ?
Il sistema delle imprese opera in un contesto in cui il tempo medio di diffusione delle innovazioni tecnologiche va progressivamente riducendosi; deve rinunciare ai tempi lunghi di parametri tecnici e conseguentemente la vita media dei posti di lavoro si riduce; d’altra parte la scelta del candidato al posto di lavoro si fonda su pochi parametri, molti dei quali invariabili, così che si rivela in tutta la sua debolezza la mancanza di una strategia di sistema nel campo della formazione continua non appena si esca dall’ambito strettamente produttivo.
5.2. Ipotesi di partenza
La formazione professionale si pone a cavaliere tra scuola e lavoro.
Non è dato un unico momento di transizione nella vita lavorativa di un individuo, ma i diversi appuntamenti si presentano con caratteristiche diverse principalmente rispetto al tema dell’investimento che implicitamente o esplicitamente ciascuno elabora.
Il grado di istruzione certificato dal titolo di studio funge da segnale fondamentale sul mercato, dal quale nessuna impresa attualmente può prescindere.
Ogni istituto scolastico, dotato di una propria autonomia relativa, modellerà i dettati del previsto "riordino della scuola italiana" a percorsi interni consolidati, innovativi o meno che siano.
L’impresa sembra prediligere processi formativi endogeni perché percepiti come controllabili rispetto agli obiettivi economici e alla propria mission.
Il problema degli squilibri occupazionali non riguarda tanto il "lavoro sì, lavoro no", quanto quale tipo di lavoro e quale processo di job-matching si verifica nelle varie imprese e nei diversi territori.
5.3. Finalità
Scopo di questa sezione del rapporto ‘96/97 è quello di cogliere, nel loro esplicitarsi, gli obiettivi delle politiche della formazione in sede locale; se possiamo leggere le azioni degli attori come tentativo di favorire il progressivo incremento qualitativo delle risorse umane, sia rispetto al sistemo produttivo come pure a quello sociale più ampio, occorre poi nello specifico declinare i comportamenti, le strategie, i problemi e gli inevitabili conflitti che si aprono nel confronto. Inoltre occorre ricordare come il quadro analitico di riferimento, nell’ambito delle teorie sul capitale umano e le critiche a questo, varia significativamente a seconda che noi assumiamo quale ottica privilegiata:
- per la famiglia l’istruzione come segnale per le imprese;
- per il sistema scolastico e formativo il ruolo istituzionale.
E’ opportuno collocare questi dati nel contesto dell’indagine che ha riguardato tutte le imprese italiane con almeno 10 addetti, appartenenti a tutti i settori economici ad esclusione dell’agricoltura, sanità, istruzione e servizi non destinabili alla vendita e dove la formazione continua è definita come quell’attività strutturata, il cui contenuto sia stato in precedenza definito, finanziata in tutto o in parte, direttamente o indirettamente, dall’impresa con la quale il personale dipendente migliora, acquisisce o mantiene le capacità, le conoscenze e le qualifiche professionali durante tutto il corso della sua vita lavorativa. I risultati principali possono riassumersi così:
Nell’anno 1993 il 15 per cento delle imprese ha provveduto alla formazione continua del personale accanto ad un altro 11 per cento nel biennio precedente.
La quota delle imprese formatrici cresce con la dimensione occupazionale e con il contenuto di servizi.
Il tipo di formazione più diffusa è rappresentata dai corsi di formazione gestiti all’esterno dell’impresa su tecniche di produzione, dispensati dalle imprese fornitrici di beni strumentali e di servizi (risultato analogo a quello che fu riscontrato nell’indagine da noi svolta presso un campione di aziende artigiane bergamasche e pubblicata nel rapporto del 1994).
Il costo di questo investimento formativo ammonta al 1,3 per cento del costo del lavoro, la maggior quota del quale (circa 60 per cento) attribuibile al costo di lavoro dei partecipanti e solo un quarto imputabile come costi diretti. Il rapporto costi tra formazione e lavoro è massimo agli estremi dell’ordinamento dimensionale: piccole e grandi. Non stupisce di conseguenza lo stesso andamento del tasso di partecipazione, vale a dire del numero di dipendenti coinvolti per impresa.
La differenza di genere apparentemente a favore dei maschi – 32 per cento contro 26 delle donne – se raffrontata ai tassi di partecipazione al mercato – 52 contro 29 – cambia di segno.
Un dato su cui riflettere è costituito dal rapporto di partecipazione ai corsi di formazione proporzionale al crescere della posizione professionale: intorno al 20 per cento operai e personale non qualificato, quasi il 60 per manager e quadri superiori.
Il tempo di formazione su mille ore di lavoro è pari a 8.
L’elemento più critico emerge dalle risposte al questionario ove si tentava di intercettare elementi di gestione strategica delle risorse umane: piano di formazione, budget, consulenza, concertazione con il sindacato. Questi elementi sembrano quasi assenti nella piccola impresa e poco significativi nella media.
La mancanza di un approccio strategico alla formazione del personale rende ancora più fragile la risposta generalizzata delle imprese al motivo della mancata formazione indicato per oltre il 70 per cento dalle competenze del proprio personale ritenute adeguate alle esigenze; in base a cosa non è dato sapere.
Se questo è il comportamento dell’impresa, la famiglia si trova a operare la scelta dell’investimento in un quadro di progressivo indebolimento del grado di istruzione come segnale sul mercato, a fronte di una spesa privata per l’istruzione universitaria davvero elevata; recenti stime per l’area lombarda evidenziano i valori espressi nella tabella 5.2.
Infine, sul versante dell’offerta formativa, l’evoluzione della società "cognitiva" definisce in modo nuovo i termini della formazione generale di base, ai diversi livelli: obbligo, diploma, laurea. Si avverte la necessità di una formazione basata sull’"imparare ad apprendere", quindi su una base culturale solida ed ampia, letteraria e filosofica, tecnica e pratica. E’ certamente questo uno degli aspetti che potrà favorire un’evoluzione positiva dello scambio tra il sistema produttivo e quello scolastico/formativo.
5.4. Le domande
ii. L’evoluzione del sistema formativo tende ad adeguarsi alle esigenze espresse dal sistema produttivo o cerca di anticiparne i caratteri innovativi?
5.5. I risultati
I segnali del sistema produttivo locale
Il paragrafo muoverà dai risultati delle indagini Isfol-Istat, Spin ed Excelsior, delle quali si offre un quadro sinottico introduttivo nella tabella 5.3. Poiché della prima abbiamo già accennato nel paragrafo precedente riportiamo di seguito alcune considerazioni sulle ulteriori.
Spin
L’indagine è stata svolta dalla società Spin di Torino, riguarda il territorio bergamasco ed ha avuto per committenti l'Amministrazione Provinciale e l'Unione Industriali locali.
Lo schema metodologico parte dall’identificazione dei settori economici più importanti; si procede poi all’analisi del ciclo produttivo tipico, con particolare riferimento alle innovazioni tecnologiche di prodotto e processo; l’aggregazione dei fabbisogni è operata secondo "archetipi" ed è stata negoziata attraverso sondaggi presso associazioni ed esperti; viene riportata una descrizione sommaria delle figure professionali; la tendenza della domanda formativa è enucleata attraverso tre variabili: presenza della figura in azienda, previsione di sviluppo e reperibilità nel mercato locale del lavoro.
Le sezioni del questionario riguardano le informazioni sul complesso del personale: area d’attività, qualifica, grado d’istruzione.
Il quadro dei fabbisogni è ricondotto a 58 figure, denominate archetipi, descritte sinteticamente attraverso il profilo di conoscenze e tecniche pertinenti alla professione; a titolo di esempio riportiamo la descrizione del tecnico di produzione:
conoscenza del processo produttivo, dei modelli innovativi di organizzazione della produzione e degli aspetti inerenti a sicurezza, ambiente, igiene del lavoro;
conoscenza tecnica del ciclo complessivo, delle tecnologie specifiche, dei mezzi di lavorazione, di regolazione e controllo dei processi e dei sistemi informatici dedicati;
metodologie e tecniche relative all’affidabilità e ottimizzazione e alle modalità di attuazione del processo.
Excelsior
Le informazioni che fornisce il Sistema Excelsior sono annuali e riguardano gli occupati dipendenti, secondo le previsioni delle imprese, nei prossimi 18-24 mesi per tutte le province d’Italia, per attività economica, dimensioni d’impresa e qualifica. Il sistema informativo individua quali figure professionali saranno richieste dalle imprese (per sostituzione o per sviluppo) e quali sono indicate dalle stesse come rilevanti, indipendentemente dai bisogni immediati; di ognuna di queste figure si identifica la denominazione con cui è designata dall'impresa, l'area funzionale, il livello di istruzione ed il titolo di studio specifico, il livello di inquadramento, nonché altre condizioni complementari come l'età, l’esperienza, la conoscenza delle lingue e dell'informatica.
Il campo di osservazione è costituito da tutte le imprese private iscritte al registro delle imprese delle camere di commercio che, al 31.12.95, avevano almeno un dipendente; sono escluse le imprese di: agricoltura, caccia e pesca, pubblica amministrazione, servizi di pubblica utilità (pubblici e privati). I risultati pubblicati riguardano le previsioni relative all’occupazione dipendente al 1998 e ai flussi entrate-uscite 1997-1998; le previsioni delle assunzioni per figure professionali 1997-1998; le schede analitiche per figure professionali e per titolo di studio.
I risultati più interessanti provengono da alcune considerazioni sulle informazioni Excelsior riguardo le assunzioni previste e il loro confronto sistematico con la situazione di fatto; in particolare ci soffermeremo sul grado di istruzione, interpretato come indicatore di qualità delle risorse umane.
Purtroppo tra le domande del questionario sottoposto alle imprese campione non vi è quella che riguarda la situazione di partenza, nel nostro caso il 31 dicembre 1996. La lacuna non riguarda solo questo interessante sistema informativo, finalmente uscito dalla fase di sperimentazione, poiché siamo costretti ad ammettere che non esiste in Italia una rilevazione sistematica del grado di istruzione degli occupati, calcolato nell’ambito del sistema produttivo; lo stesso censimento decennale dell’industria e dei servizi non contempla questa variabile; sotto queste condizioni diventa difficile costruire un vettore specifico, probabilmente unica strada per sviluppare ipotesi sensate riguardo i comportamenti della domanda nel mercato del lavoro.
L’osservazione non sembri fuori contesto.
Se volessimo interpretare tale situazione del sistema statistico, potremmo ipotizzare che la variabile non venga sistematicamente rilevata poiché si ritiene che non sia correttamente nota all’impresa e quindi poco attendibile la risposta, o che venga considerata da questa di scarsa rilevanza; in entrambi i casi stupirebbe l’atteggiamento dell’impresa soprattutto se messo in relazione alla diffusa posizione critica rispetto al sistema dell’istruzione, al quale si attribuisce una distanza eccessiva rispetto alla sfera lavorativa.
Lasciando per un momento da parte tali considerazioni e tornando al nostro problema interpretativo dei dati, si è ovviato alla lacuna informativa, considerando i dati dell’indagine trimestrale sulla forza di lavoro, che pone la domanda riguardo il titolo di studio posseduto, rilevato però nelle famiglie; è ovvio che se confrontiamo ambiti territoriali di dimensione provinciale, perdiamo l’informazione riguardante i flussi in entrata e in uscita dei lavoratori e dunque le osservazioni non possono trascurare alcune ipotesi al riguardo, la più robusta delle quali è che ci attenderemo che l’area metropolitana funga da attrattore delle risorse umane più qualificate. Se infatti accostiamo i dati, a livello provinciale, dell’intera Lombardia riguardo la percentuale di laureati risultante dalla "Rilevazione delle forze di lavoro" a quelli espressi come bisogno dalle imprese per il biennio ‘97/98, rileviamo valori costantemente più contenuti delle attese dell’impresa rispetto all’offerta presente nel bacino provinciale, fatta eccezione per l’area milanese (vedi tabella 5.4).
Che significato possiamo attribuire a quello che si presenta come un fenomeno di nuova concentrazione delle risorse umane qualificate nell’area metropolitana ?
Precisiamo che il raffronto è sostanzialmente omogeneo, poiché i dati non si riferiscono a tutti gli occupati, ma ai lavoratori dipendenti dell’industria; d’altra parte va sottolineato che la quota considerata è solo una parte degli addetti nel sistema delle imprese, che in termini percentuali si aggira attorno al 60 per cento; infatti ricordiamo che l’universo del sistema Excelsior è costituito da tutte le imprese con almeno un dipendente, esclusi alcuni settori economici; per la stima ci siamo avvalsi dei dati CIS 1991; in particolare la tabella 5.5 mette a confronto il totale dell’occupazione rilevato allora con la quota approssimativamente corrispondente all’universo campionato Excelsior.
Ad abbassare ulteriormente la quota di occupazione intercettata dal sistema informativo contribuisce quella percentuale di posti di lavoro creati e distrutti dai fenomeni di natalità e mortalità di impresa. A questo punto è opportuno aprire una parentesi su questo aspetto della dinamica imprenditoriale, riprendendo alcune considerazioni svolte da Contini, Gavosto, Revelli, Sestito a partire dall’esame degli archivi amministrativi INPS.
Il loro lavoro di ricerca si inquadra nel contesto degli studi sui fenomeni di distruzione e creazione di posti di lavoro; in questi anni hanno svolto parecchie comparazioni internazionali arrivando alla conclusione che il mercato del lavoro italiano sarebbe segnato da elevati livelli di turnover complessivo, paragonabile a quello degli altri Paesi industrializzati; i flussi complessivi vengono generalmente distinti in relazione al fatto se siano provocati dalla natalità e mortalità delle imprese o siano conseguenti alla espansione o contrazione di posti di lavoro in imprese stabili; questo secondo blocco è analogo a quello espresso, in termini di previsione naturalmente, dalle imprese intervistate sui propri fabbisogni nel biennio, il cui valore si attesterebbe a livelli decisamente inferiori, così come mettono in evidenza le percentuali della tabella 5.6.
Possiamo affermare che la risposta degli imprenditori in termini di turnover previsto sia eccessivamente prudente e che vi sia in ultima analisi una cattiva percezione del volume di mobilità della forza lavoro in azienda ?
Se l’ipotesi interpretativa fosse corretta, aprirebbe una ulteriore serie di perplessità sul grado di attendibilità degli scenari prefigurati dalle previsioni di fabbisogno espressi nel breve periodo dal sistema delle imprese.
Non va comunque esclusa la possibilità di un raffronto non corretto poiché i flussi di natimortalità desunti dagli archivi amministrativi INPS si riferiscono ad un periodo particolare (1985-93) e sarebbero sovrastimati a causa dei movimenti spuri segnalati dalla fonte, peraltro presi in considerazione dagli studiosi e già stimati e sottratti ai valori effettivi.
Spostiamo ora l’attenzione sui fabbisogni in ingresso espressi in valori assoluti: 11.600 nel biennio corrispondenti a una media annua pari a 5.800 unità; il numero dei laureati richiesti ammonta a circa 380 e quello dei diplomati a 1.600; la quota di questi accettata senza esperienza è diversa a seconda del titolo di studio; in buona sostanza potranno essere non più di 800 i neo diplomati richiesti ogni anno e 160 i laureati; poiché i flussi in uscita dal sistema dell’istruzione provinciale ammontano a circa 3mila– ulteriori 3.500 diplomati proseguono la carriera scolastica con l’iscrizione all’Università - e 800 rispettivamente nei due segmenti, ciò significa che la quota assorbita dal lavoro dipendente – esclusa quindi quella nella pubblica amministrazione, in agricoltura e in piccole quote dei servizi privati – si attesta sul 23 per cento dei neo diplomati e sul 20 per cento dei neo laureati ! Poiché non è ragionevole pensare che il 40 per cento dei posti di lavoro non contemplati nel sistema formativo Excelsior assuma in toto tali "eccedenze", il problema che si manifesta con maggiore evidenza è lo scarto quantitativo della domanda di risorse umane qualificate e l’offerta del sistema formativo.
Poiché l’impresa potrebbe valutare l’opportunità di disporre di una leva in ingresso sufficientemente eterogenea e malleabile rispetto ad un percorso di adattamento tecnologico interno si è esplorato il rapporto tra i fabbisogni formativi espressi e quelli soddisfatti all’interno, sulla scorta dell’ipotesi di un loro carattere alternativo; ci si attende insomma che l’impresa che assume personale con un livello contenuto di istruzione provveda poi ad una formazione interna. Per accedere a qualche elemento informativo si è ricorso all’indagine sopra menzionata Isfol-Istat, che se pure carente di risposte a livello territoriale, rispecchia comunque un atteggiamento che possiamo attribuire al sistema produttivo locale anche a motivo della consistente rappresentatività delle regioni forti (come la Lombardia) nel campione. L’elemento che consente qualche raffronto è dato dal numero di imprese "formatrici" rispetto al settore economico di appartenenza; ebbene i comparti che, nell’indagine Excelsior, risultavano esigenti in termini di candidati "istruiti", procedono, secondo l’indagine Isfol-Istat alla messa in atto di maggiori momenti di formazione per il proprio personale. Così almeno sembra emergere dalla tabella 5.7 ove si raffrontano per macro settore economico gli indici di anni medi di studio richiesti per i candidati e la propensione formativa.
Si può parlare di forte carattere cumulativo delle risorse umane nell’impresa ?
Sembrerebbe di sì poiché, ordinando il fabbisogno espresso dalle imprese per titolo di studio crescente ( vedi tabella 5.8) si segnala come le difficoltà di reperimento siano inversamente proporzionali, mentre le necessità di formazione riguardino l’86 per cento dei laureati e solo il 38 per cento dei licenziati dalla scuola media.
La qualità delle risorse umane può essere misurata anche in relazione alla tecnologia presente nell’impresa e in questo caso risulta interessante indagare sulla tipologia di professionalità richieste; Excelsior ha restituito l’informazione secondo la codifica delle professioni ISTAT 91, in qualche modo ordinata in termini decrescenti di complessità: le professioni dirigenti e responsabili ai primi posti e quelle esecutive agli ultimi.
L’elemento più eclatante è emerso dal mettere in relazione nella figura 5.1 il fabbisogno esplicito delle imprese con i "desiderata" espressi verso il sistema formativo; interessante una lettura dicotomica delle sezioni 2 e 3 del questionario ove si chiedevano elementi simili in relazione però a ciò che veniva percepito, nel primo caso come fabbisogno aziendale e nel secondo caso come domanda al sistema formativo; un po’ una stilizzazione della domanda: attenta al mercato; attenta al potenziale delle risorse umane.
Ebbene, i primi risultati vanno tutti nella direzione di rafforzare una immagine della impresa come reclutatrice di "operai specializzati": il 60 per cento voluti con esperienza, ancora per il 60 per cento difficili a reperire – sotto il 50 invece la difficoltà a reperire dirigenti – e primi nella graduatoria delle attese rispetto alla scuola; ci si aspetta che questa ne prepari un numero superiore a più di un terzo delle richieste complessive sul mercato.
L’evoluzione del sistema formativo locale
Esaurite le osservazioni riguardo la domanda, esplicita e implicita, dell’impresa, passiamo ora a cercare di interpretare l’evoluzione del sistema educativo e formativo locale. Lo faremo a partire da alcune considerazioni su di un confronto diacronico del numero di iscritti alla scuola secondaria superiore negli ultimi anni; metteremo a confronto gli indirizzi di studio scelti a Bergamo rispetto a Lombardia e Italia.
L’annotazione interessante, anche perché compresa nell’arco di un solo quinquennio è data dal fatto che l’incremento degli accessi liceali prodotto ovunque compresa la nostra provincia si accompagna nella nostra area ad una crescita dei diplomi "deboli" che così finisce per spiegare in gran parte (vedi tabella 5.9) l’abbandono dei percorsi più tecnico-professionali. E’ vero che questo indicatore risente sia delle politiche locali dell’istruzione in termini di localizzazione degli istituti, come dei segnali più specifici che le famiglie raccolgono rispetto al mercato del lavoro, resta in ogni caso come segnale di differenziazione rispetto alla realtà nazionale.
Se poi andiamo a scomporre la frazione più consistente e in declino - quella degli istituti tecnici - scopriamo attraverso la tabella 5.10 che le quote interne si suddividono a favore di un rafforzamento degli studi "industriali" e di uno spostamento, in analogia a quello nazionale ma d’intensità maggiore, nella direzione di un numero minore di ragionieri, periti aziendali e una quota maggiore di geometri; rilevante in proporzione la tenuta dei periti agrari, che si attesta su valori vicini a quelli della pianura lombarda. E’ infine interessante rilevare l’incidenza scarsa, poco più dell’uno per cento di altri percorsi scolastici rispetto a quelli più consolidati.
Vogliamo ora analizzare cosa succede al termine degli studi secondari per tentare di cogliere, attraverso il fenomeno dell’abbandono del percorso scolastico, quali siano i percorsi più critici in questo ambito. Se le variazioni territoriali nell’arco temporale considerato sostanzialmente mostrano lo stesso verso seppure con minore intensità, l’elemento più forte per la nostra provincia è quella perdita del 50 per cento di persone che frequentano gli Istituti professionali, testimoniata da meno di 9 per cento di studenti maturi nel 93/94 rispetto a oltre il 18 per cento degli iscritti cinque anni prima.
In valori assoluti ci troviamo di fronte a 6.500 giovani che mediamente ogni anno frequentano nella provincia gli Istituti professionali, con leve iniziali di 1.800-2.100 unità, a fronte di sole 600-700 che conseguono un diploma. Se da una parte insomma vi sono progressi nella scelta di percorsi liceali, quindi potenzialmente positivi rispetto ad una formazione qualificata delle risorse umane, dall’altra i percorsi più deboli avviati alla fine dell’obbligo accentuano negli anni questo loro aspetto; chi investe di più, ha una probabilità maggiore di proseguire il ciclo di studio, chi investe di meno ha minori possibilità.
E’ noto che i tassi di prosecuzione verso gli studi universitari costituisce un’ulteriore elemento di differenza in negativo dell’area orobica rispetto ad altre regioni e alla nazione in genere; al proposito si rimanda ai diagrammi di confronto pubblicati nel rapporto dello scorso anno ove ciò era evidenziato. Ora, quello che vorremmo analizzare sono gli attributi di questo passaggio, attraverso l’indicatore del tipo di diploma presentato all’iscrizione universitaria, che per quanto fino ad ora visto si presenta in termini critici rispetto alla qualità dello stock in uscita degli studenti maturi.
Quali sono i percorsi tra diploma e scelta universitaria degli studenti bergamaschi ?
Se risulta ragionevole ipotizzare un rapporto fra indirizzo
universitario e scolarità pregressa ci attenderemo dei flussi con
determinate caratteristiche che purtroppo non possiamo verificare per mancanza
di informazioni a livello provinciale; terminiamo questa parte di analisi
non prima di avere riflettuto su di un elemento di fondo che deve sicuramente
preoccuparci o comunque spingerci ad approfondire le nostre ipotesi riguardo
il grado di istruzione e la qualità delle risorse umane per il prossimo
futuro. Dai dati sulle immatricolazioni negli atenei lombardi e in Italia
in genere risulterebbe infatti che il flusso degli studenti non solo non
sia più in crescita ma stia subendo un rallentamento così
come emerge dalla tabella 5.11.
5.6.Le politiche locali
Dunque come si vede vi sono segnali negativi riguardo
sia le scelte universitarie come quelle relative alle fasce più
deboli nel sistema scolastico e potenzialmente nel mercato del lavoro;
d’altra parte un gruppo di giovani tutt’altro che residuale va indirizzandosi
verso percorsi che sicuramente costituiranno individualmente un vantaggio
nel momento di ingresso sul mercato e negli sviluppi di carriera, mettendo
contemporaneamente a disposizione risorse qualificate per il sistema produttivo.
E’ difficile proporre soluzioni specifiche al policy maker locale; piuttosto
sembra interessante, alla luce anche di questo contributo analitico, sottolineare
come alcune scelte di lungo periodo, operate diversi anni fa stiano dando
i loro frutti, come forse la scelta di una facoltà di ingegneria
sul territorio provinciale sia positiva ma vadano corretti alcuni elementi,
probabilmente anche di localizzazione, per svilupparne tutta la carica
positiva. Sembra importante però sceverare la domanda di breve,
brevissimo periodo che il sistema delle imprese pone, rispetto ad ipotesi
di sviluppo dell’economia locale. Abbiamo argomentato come, il fatto di
interpretare in modo meccanico la domanda di primo livello del sistema
produttivo, con qualsiasi metodo questa sia posta, rischi di impoverire
progressivamente l’offerta di lavoro attraverso un suo adeguamento troppo
puntuale a questo o a quel segmento del mercato.