1.3 Gli scambi con l'estero

Il 1997 non è stato un anno particolarmente positivo per la bilancia commerciale italiana che, dopo la sostenuta crescita dell'attivo conseguita l'anno precedente, ha avuto una battuta d'arresto. I mesi centrali dell'anno hanno in particolare registrato peggioramenti dei saldi rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (figura 1.17).

La dinamica osservata si può spiegare con la sostenuta crescita delle quantità importate il cui andamento va ascritto in parte ad un fisiologico recupero rispetto ai livelli depressi registrati nei mesi centrali del '96; essa è inoltre da imputare agli effetti dei provvedimenti d'incentivazione al mercato dell'auto. Abbiamo difatti visto aumentare significativamente le importazioni di autovetture prodotte da case estere (nel periodo aprile-luglio la variazione anno su anno delle importazioni relative al settore dei mezzi di trasporto è stata del 40 per cento), mentre la sostenuta crescita della produzione interna di autoveicoli ha sostenuto l'import di intermedi per la loro produzione.

Di fatto gli incentivi non hanno mancato di deteriorare la performance sull'estero delle produzioni nazionali del settore che, dato il boom di domanda interna, si sono caratterizzate per politiche di prezzo poco attente agli obiettivi di mantenimento delle quote sul mercato estero. Sempre nel periodo aprile-luglio, per i mezzi di trasporto si osserva una crescita dei prezzi all'export del 5,9 per cento sull'anno precedente, con una forte perdita di competitività all'estero dei prodotti nazionali. Va infatti tenuto presente che nella maggior parte degli altri comparti del manifatturiero la variazione dei prezzi all'export nello stesso periodo è stata di segno negativo. Simmetricamente, quello dei mezzi di trasporto è stato anche l'unico dei settori a registrare una diminuzione anno su anno delle quantità esportate.

Nel complesso, le esportazioni non sono andate male. Dopo una consistente battuta d'arresto a cavallo fra la fine del '96 e l'inizio del '97, queste hanno infatti preso a recuperare nel corso dei mesi centrali dell'anno sulla scia del progressivo rafforzamento del ciclo dell'industria europea.

Alcuni tratti di rilievo emergono dalla scomposizione dell'export per destinazione economica. In particolare, si osserva un progressivo miglioramento delle performance relative ai beni intermedi ed ai beni di investimento, a fronte di una stagnazione dell'export di beni di consumo che solo a fine anno ha cominciato a mostrare qualche sintomo di recupero. Tale comportamento sembra riflettere gli sviluppi che hanno caratterizzato la ripresa nell'area franco-tedesca dove il ciclo nel corso dell'anno ha visto migliorare prevalentemente le performance del settore manifatturiero che ha portato ad un progressivo incremento della domanda di intermedi e ad un rafforzamento dell'attività di investimento. Ancora debole invece in questi paesi la domanda di beni di consumo.

Dopo la battuta d'arresto del '97, i saldi commerciali sembrerebbero orientati a registrare effetti positivi derivanti dal progressivo rafforzamento dell'attività di esportazione, ma soprattutto un miglioramento significativo deriverà dall'esaurirsi degli effetti sull'import dei provvedimenti di incentivazione al mercato dell'auto.

L'impresa bergamasca è sempre più presente nei mercati esteri

I risultati del 1996 e del primo semestre 1997 dell'export bergamasco sono stati più positivi della media lombarda e nazionale:

  nel 1996 è risultata la quarta provincia italiana per valore delle esportazioni, dietro a Milano, Torino e Vicenza, ma davanti a Brescia, Treviso e alle altre realtà del Nord-est;

  la quota delle esportazioni risulta ancora in crescita sia rispetto alla Lombardia che all'Italia, di cui costituisce il 3,5 per cento (valore 1996);

  anche il contributo al risultato positivo della bilancia commerciale italiana è sempre più rilevante: nel primo semestre del 1997 dei 22.600 miliardi del saldo italiano circa 3.300 sono realizzati dalle imprese bergamasche;

  il tasso di crescita del valore delle esportazioni risulta ampiamente superiore, sia nel 1996 che nella prima metà del 1997, a quello lombardo e a quello italiano.

In sostanza, l'economia bergamasca riafferma di anno in anno la propria superiorità nel raggiungere i mercati mondiali, marciando più rapida delle altre aree del paese (tabella 1.3 e figura 1.18). Rispetto al 1995, la crescita in valore dell'export, pur di molto inferiore a quella registratasi nel periodo precedente, ha comunque raggiunto il 13,1 per cento, assai migliore dei risultati realizzati in Lombardia (+3%) e in Italia (2,7%).

Tra il 1995 e il 1996 le importazioni hanno subito una contrazione in tutto il paese consentendo alla bilancia commerciale italiana di conseguire un saldo attivo considerevole (68mila miliardi). Coerentemente con la tendenza in corso da diversi anni, anche questa volta la dinamica delle importazioni risulta più sfavorevole in bergamasca rispetto alla media lombarda e nazionale: nel 1996 il calo risulta quindi meno accentuato rispetto alle altre aree del paese (-3,1 contro -3,9 in Lombardia e in Italia). La regola è ancora verificata nei primi sei mesi del 1997 nei quali la ripresa delle importazioni risulta più marcata a Bergamo che altrove. Come già anticipato, la crescita delle importazioni di questa prima parte del 1997 è stata probabilmente dovuta all'adozione dei provvedimenti di incentivazione all'acquisto di autoveicoli. D'altro canto, ricordiamo che la dinamica delle importazioni in bergamasca non è che il riflesso dei processi di diversificazione e rilocalizzazione produttiva che determinano la crescita del contenuto di importazione delle produzioni italiane e bergamasche.

La dinamica dei saldi normalizzati (tabella 1.4) ben sintetizza gli andamenti di esportazioni e importazioni. Nel 1996 l'economia italiana realizza il miglior risultato dal 1990, con un notevole miglioramento rispetto all'anno precedente (9,6% contro il 6,3% nel 1995). Anche il risultato bergamasco è il migliore del decennio e risulta inoltre eccezionale nelle proporzioni superando il 31 per cento, con una crescita annuale di oltre sette punti percentuali. Più scarsa invece la performance della Lombardia che, nonostante il suo saldo negativo rimanga intorno all'1 per cento, migliora però nettamente nel confronto con gli anni precedenti.

Occorre ricordare che le esportazioni lombarde (la cui performance giudichiamo spesso un po' blanda nei confronti con quella bergamasca) costituiscono poco meno di un terzo di quelle nazionali. Le esportazioni lombarde sono risultate nel 1996 praticamente analoghe alla somma delle esportazioni di tutte le regioni del Nord-est. La sola Lombardia ha infatti esportato per un valore complessivo di 116 miliardi di lire, le vendite all'estero di Trentino, Veneto, Friuli e Emilia Romagna hanno raggiunto insieme i 117 miliardi di lire.

Nel corso del 1996, il peso relativo delle esportazioni bergamasche ha continuato ad aumentare sia nei confronti della Lombardia che rispetto al totale nazionale. Durante l'anno, ha infatti sfiorato il 12 per cento delle esportazioni lombarde  ed è passato dal 3,2 al 3,5 per cento relativamente al totale dell'export nazionale. I dati del primo semestre del 1997 confermano questa dinamica di crescita; evidentemente, al di là dei vantaggi connessi alla composizione settoriale, queste performance riflettono un'effettiva maggior capacità delle imprese bergamasche di penetrare nei mercati esteri.

Il saldo positivo del commercio con l'estero dell'economia bergamasca ha raggiunto i 6.500 miliardi nel 1996 e quest'anno si avvia a ripetere tale risultato: nei primi sei mesi il saldo ha infatti praticamente raggiunto i 3.300 miliardi di lire. L'andamento delle esportazioni in valore riflette la sostanziale tenuta delle quantità esportate, e una diminuzione del livello dei prezzi all'export. Sul relativo calo del saldo commerciale incide inoltre la ripresa delle importazioni.

Gli andamenti settoriali: la corsa delle macchine agricole e industriali

Nel 1996 le esportazioni della Lombardia sono cresciute di tre punti percentuali rispetto all'anno precedente, riflettendo le performance divergenti dei maggiori settori esportatori. Sono infatti diminuite le esportazioni di metallurgia, meccanica di precisione, chimica e tessile; risultati opposti sono invece stati conseguiti dai settori delle macchine ed apparecchi.

Relativamente alla destinazione dell'export, i risultati non sono stati positivi nei paesi dell'Unione europea e negli "altri paesi industriali" (Giappone, Australia e Nuova Zelanda) nei quali le vendite si sono ridotte rispettivamente di 1.500 e di 500 miliardi. Le esportazioni sono inoltre risultate poco dinamiche verso i paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda le singole province, Bergamo, insieme a Pavia Mantova e Brescia ha registrato ottimi risultati, mentre a Varese, Milano e Cremona le esportazioni sono complessivamente diminuite. I sistemi economici bresciano e bergamasco hanno costruito il proprio vantaggio proprio sui settori delle macchine ed apparecchi, ma in queste province praticamente tutti i settori hanno evidenziato ottimi andamenti. Per contro, se a Mantova il tessile ha rappresentato un punto di forza (calza) altrove (è il caso di Varese, Milano e Como) i risultati sono stati deludenti. Complessivamente le esportazioni milanesi sono diminuite di 1.300 miliardi, concentrati in particolare nell'abbigliamento, nell'industria metallurgica, nella meccanica di precisione e nella chimica.

Tornando all'export bergamasco, possiamo notare come questo risulti sempre più incentrato su due settori, la metalmeccanica e il tessile, cuoio e abbigliamento. La quota complessiva risulta infatti in continua crescita, tanto da costituire nel 1996 ben il 62 per cento del valore esportato. A ben guardare, si nota che la crescita si deve esclusivamente alla metalmeccanica che compie infatti un ulteriore balzo in avanti rispetto a quello già consistente del 1995, che la porta a sfiorare il 47 per cento del totale (era al 42,1% nel 1994). Meno brillante è invece l'andamento del tessile, cuoio e abbigliamento che perde qualche altro decimo di punto rispetto all'anno precedente, che si era rilevato peraltro particolarmente negativo. Continua anche in quest'ultimo periodo l'inversione di un ciclo, avviatosi all'inizio del decennio, che aveva visto la progressiva riduzione delle quote del settore metalmeccanico a vantaggio del tessile, abbigliamento e calzature.

Marginali risultano invece le variazioni degli altri settori manifatturieri il cui contributo alle esportazioni bergamasche risulta costante. In particolare, tra gli altri settori di traino, particolarmente consistente risulta il calo della quota della chimica (dal 12,1 al 10,9%).

Ciò che determina la variazione del peso percentuale dei singoli settori all'interno dell'export della provincia sono le differenti performance, in termini di crescita delle esportazioni, ottenute durante l'anno. La crescita apparentemente più consistente è quella mostrata dal settore delle carni (+65%) che ha comunque un rilievo trascurabile sui valori assoluti. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, particolarmente brillanti sono stati i risultati nei settori della meccanica e in particolare nel comparto più importante, quello delle macchine agricole e industriali nonché del materiale elettrico. La crescita delle esportazioni realizzata da questi settori è rispettivamente del 27 e del 26 per cento. Risultati positivi per il settore si registrano del resto anche a livello nazionale e lombardo, ma in entrambi i casi la crescita avviene a ritmi assai inferiori rispetto a Bergamo. Appena sotto la media sono invece i risultati conseguiti dal settore tessile allargato e del tessile-abbigliamento.

Per quanto riguarda la dinamica delle importazioni, rilevanti aumenti percentuali sono stati registrati nei prodotti agricoli e in quelli energetici. Particolarmente consistente, e significativo per gli effetti sulla dinamica complessiva, risulta il profilo seguito dai mezzi di trasporto e dagli autoveicoli in particolare, le cui importazioni sono cresciute rispettivamente del 54 e del 66 per cento. Contrariamente alle aspettative, l'aumento è stato superiore nel periodo durante il quale non erano ancora comparse le misure di incentivazione, il 1996, mentre è risultato inferiore nel primo semestre del 1997. Sempre nella metalmeccanica, si sono registrati alti tassi di crescita anche nelle macchine per ufficio; le macchine agricole e industriali manifestano invece un tasso di incremento minore dopo il boom del 1995.

Il saldo della metalmeccanica sale a 4.700 miliardi  e quello delle macchine agricole industriali denota una crescita anche maggiore passando a 3.300 miliardi; complessivamente il contributo al saldo complessivo delle metalmeccanica scende, rispetto all'anno precedente, dal 79 al 72 per cento. In espansione risulta anche il saldo attivo del tessile-abbigliamento, e diminuiscono i deficit del settore chimico e di quello alimentare, mentre l'agricoltura si muove in controtendenza. Ciò ha effetti sui saldi settoriali normalizzati (tabella 1.8) che sottolineano i punti di forza dell'export bergamasco: macchine, prodotti in metallo, cuoio e calzature e tessile-abbigliamento.

La tabella successiva (tabella 1.9) mostra le tendenze alla specializzazione dell'export bergamasco nel corso dell'ultimo decennio, riflettendo le trasformazioni strutturali (inclusa l'entrata e l'uscita di imprese) che hanno attraversato l'economia bergamasca. Rispetto alla Lombardia, nel corso di questo periodo, va rilevato come l'export provinciale si sia despecializzato soprattutto nell'alimentare e nella chimica. Sono viceversa divenuti settori di specializzazione sia quello dei mezzi di trasporto (autoveicoli industriali) che quello della carta e stampa. Relativamente all'Italia, ha assunto rilievo assoluto la specializzazione nei metalli ferrosi e non, mentre è bruscamente scesa quella nei prodotti in metallo. Nel complesso rimangono sostanzialmente immutati i pesi dei settori caratteristici: la metalmeccanica (macchine in particolare) e il tessile-abbigliamento.

Nella classifica dei cinquanta principali sistemi produttivi locali, la provincia di Bergamo compare (nel 1995) al 26° posto con il settore delle macchine tessili (insieme alla provincia di Brescia) e al 32° (insieme a Milano) con quello dei filati, al 39° (ancora insieme a Brescia) con la maglieria e infine al 47° con i tessuti. Le variazioni intercorse nell'ultimo decennio hanno determinato sostanzialmente un recupero di posizioni nei settori dei beni di investimento, è il caso delle macchine tessili (era al 30° posto nel 1986), ma una sostanziale discesa nei settori dei beni finali e negli intermedi. Infatti, sia i filati che la maglieria hanno perso molto terreno rispetto agli altri sistemi locali del paese, mentre i tessuti hanno praticamente tenuto la posizione. I filati hanno complessivamente perso sedici posizioni in graduatoria avendo fatto realizzare nel periodo un calo delle vendite all'estero del 75 per cento, la maglieria ha invece dimezzato il valore delle esportazioni perdendo dieci posizioni.

Ancora una volta le imprese bergamasche sembrano dunque aver risposto brillantemente alle sfide poste dal mercato mondiale: i risultati sono stati ottimi sia nel 1996 che nella prima parte del 1997, e dimostrano la competitività del sistema produttivo bergamasco nei confronti dei concorrenti stranieri. Nel prossimo futuro le imprese bergamasche attive nel campo della siderurgia (pensiamo alla Dalmine) beneficeranno inoltre di alcune misure protezionistiche decise dall'Unione europea nei confronti delle "economie in transizione" dei paesi dell'est europeo. Recentemente (al termine dell'ultimo mese di agosto) il Consiglio dell'Ue ha infatti deciso di imporre dazi antidumping sulle importazioni nei paesi comunitari dei tubi senza saldatura prodotti in alcuni paesi dell'Est. Proprio l'Italia aveva subito più pesantemente gli effetti della politica di prezzo delle imprese russe, ungheresi, polacche e rumene: negli ultimi tre anni l'import era infatti aumentato di ben otto volte.

D'altro canto le imprese bergamasche si troveranno ben presto a verificare la propria competitività sui mercati asiatici dove dovranno affrontare le difficoltà legate al repentino apprezzamento del tasso di cambio della lira, cresciuto in pochi mesi del 30 per cento.


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