1.2 La congiuntura economica provinciale

La produzione mostra timidi segnali di ripresa

Dopo il rallentamento dell'attività produttiva che ha caratterizzato gli ultimi due anni, il quadro congiunturale delle imprese industriali sembra sia finalmente mutato e i momenti più difficili superati. Nel corso del primo periodo di quest'anno, pur nell'ambito di variazioni negative via via più ridotte, l'economia bergamasca ha toccato un punto di minimo che non toccava dal 1993. Il secondo trimestre però ha evidenziato una decisa svolta, con un recupero di quasi tre punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente e di ben cinque punti rispetto al primo trimestre (figura 1.3).

Nel periodo coincidente con le ferie estive (giugno-settembre), l'industria bergamasca sembra però essersi concessa un momento di riflessione, realizzando ancora una crescita tendenziale positiva (1,5%) ma dimezzata rispetto al periodo precedente. L'evoluzione ciclica nella bergamasca è sostanzialmente coerente con il quadro nazionale: gli imprenditori avvertono segnali di miglioramento del quadro produttivo aziendale, ma rimangono probabilmente in attesa di una diminuzione del costo del denaro prima di effettuare quelle decisioni di investimento che consentirebbero alla produzione di raggiungere i picchi del 1995. La ripresa che comunque si profila nelle aspettative degli imprenditori dovrebbe in ogni caso godere del riavvio del ciclo delle scorte.

Riportando l'attenzione alla dinamica dei volumi prodotti, il saldo tra aziende che hanno realizzato un aumento e quelle che hanno subito una diminuzione risulta positivo per il 22 per cento. Il 38 per cento dichiara comunque un aumento della produzione superiore al 5 per cento, sono invece il 22 per cento quelle che segnalano un calo della stessa misura.

Il percorso seguito dall'industria manifatturiera bergamasca nell'ultimo anno è stato analogo a quello lombardo, ma la caduta dei volumi prodotti è proseguita più a lungo, evidenziando una dinamica meno brillante fino al primo trimestre di quest'anno. Come sottolineato nello scorso rapporto, tale tendenza potrebbe essere spiegata dal maggior rilievo nel tessuto produttivo di imprese subfornitrici. La produzione di queste imprese è infatti generalmente più sensibile ai cali congiunturali in quanto le imprese committenti reagiscono alle mutate condizioni di domanda tagliando in primo luogo proprio le commesse esterne. Fino all'inizio del 1997 le imprese bergamasche hanno dunque risentito in misura maggiore, rispetto alla media dell'industria lombarda, dell'incerto quadro di aspettative. A partire dal periodo successivo però queste hanno, come tradizionalmente si verifica, anticipato i tempi della ripresa. L'industria lombarda ha da parte sua evidenziato una dinamica più blanda, che è proseguita anche nel terzo trimestre.

In questa edizione del Rapporto abbiamo riservato una particolare attenzione alla tendenza anticipatrice del ciclo da parte dell'industria bergamasca che era emersa nelle analisi degli anni passati. A questo proposito abbiamo dunque condotto un'analisi più approfondita del fenomeno utilizzando lo strumentario dell'analisi econometrica. I risultati dello studio, che confermano la validità della nostra ipotesi, sono illustrati nel riquadro "Ciclo produttivo e occupazione in Provincia di Bergamo" in calce al capitolo.

Spostando l'attenzione sulla produzione manifatturiera delle imprese artigiane (figura 1.4), si scorgono i segnali della ripresa della tendenza positiva della produzione che si era interrotta all'inizio del 1997. Occorre comunque evidenziare che il ciclo dell'artigianato risulta più smussato rispetto al settore delle imprese industriali. Ciò è probabilmente spiegabile con il ruolo giocato dalle esportazioni nell'ultima ripresa di cui tradizionalmente le piccole imprese beneficiano solo in minima parte.

Il calo cominciato nel 1995 è terminato nel secondo trimestre del 1996; a partire da quel periodo si sono manifestati dei segnali di graduale miglioramento, con tassi di variazione via via meno negativi, fino a raggiungere una variazione annuale positiva nell'ultimo periodo considerato (terzo trimestre 1997).

Dopo aver seguito una dinamica piuttosto differente, negli ultimi periodi osservati la tendenza bergamasca e quella lombarda sembrano convergere. Analogamente a quanto avviene nell'industria, la ripresa della produzione si manifesta anticipatamente nelle imprese localizzate in provincia rispetto alle altre imprese lombarde. Nell'anno in corso, la forbice tra l'indice bergamasco e quello nazionale ha comunque ripreso a restringersi.

La dinamica dei livelli produttivi nei diversi settori di specializzazione mostra come sia diminuito il ruolo di traino del settore meccanico (figura 1.5). Tale comparto ha guidato tutta la fase di crescita più accentuata, ma, a partire dalla fine del 1996, la sua performance si è allineata alla media dell'industria manifatturiera. Tale risultato non deve sorprendere: il settore nella bergamasca ha una composizione strutturalmente diversa rispetto alla media nazionale, essendo più orientata sulle macchine utensili che sui mezzi di trasporto in generale, e sugli autoveicoli in particolare. La meccanica bergamasca, se da un lato ha beneficiato solo parzialmente delle misure di incentivazione collegate al settore automobilistico, punta molto - e lo si vede nelle previsioni a breve - sulla ripresa della spesa per i beni di investimento nelle economie verso le quali risulta esportatrice, la Germania in primo luogo.

Un grosso ruolo nella rapida impennata coincidente con il secondo trimestre l'hanno invece avuto la gomma-plastica e il tessile. Per quanto riguarda il primo, tale dinamica trova spiegazione proprio negli incentivi alla rottamazione: il settore della gomma-plastica infatti destina gran parte della propria produzione all'industria automobilistica (componentistica interna). Sia gomma-plastica che tessile partivano da un punto di minimo in corrispondenza del secondo trimestre 1996, e hanno progredito rapidamente nei periodi successivi, svolgendo un ruolo da traino per l'intera economia. Il settore abbigliamento ha invece evidenziato andamenti peggiori della media durante tutto l'anno in corso.

L'indicazione fornita dal grado di utilizzo degli impianti (attualmente pari mediamente al 77,4%) conferma quanto emerso nell'analisi della produzione. A partire dal terzo trimestre del 1996, il saldo tra segnalazioni in aumento e in diminuzione ha cominciato a migliorare e, nei primi due periodi dell'anno in corso è tornato positivo. L'ultima osservazione mostra infine un nuovo regresso che sconta però un fattore di stagionalità connesso all'inclusione del periodo delle ferie.

La figura 1.7 mostra l'andamento degli ordini e delle scorte di prodotti finiti, misurato rispettivamente dalle giornate di produzione assicurata e dal saldo tra dichiarazioni di esubero e di scarsità. Risulta evidente come per tutto il periodo caratterizzato dal calo della domanda, le imprese abbiano dato fondo alle proprie scorte di prodotti finiti riducendo contestualmente la produzione. Su questa dinamica ha inoltre probabilmente influito l'elevato costo del denaro che accresce il costo di immobilizzazione delle scorte. Questa tendenza si è prolungata anche nella fase successiva, durante la quale il livello degli ordinativi acquisiti ha ripreso a salire. Nell'ultimo periodo analizzato le imprese si trovano quindi con un livello dei prodotti finiti in magazzino piuttosto basso (il saldo è pari a 0,6%). Se le previsioni relative ai prossimi sviluppi della domanda si riveleranno corrette, dobbiamo dunque attenderci una ripresa del ciclo della produzione spinto anche dalla dinamica delle scorte.

Tutto ciò trova per ora solo parziale conferma nella dinamica trimestrale degli ordini ripartiti per settori. Quanto emerge dal dato del terzo trimestre non sembrerebbe in realtà lasciare spazio a grandi entusiasmi; le indicazioni che se ne traggono contrastano con le tendenze emerse a livello nazionale e soprattutto con le previsioni formulate dagli imprenditori per il trimestre successivo. E' possibile però che ciò dipenda da un effettivo ritardo di percezione da parte degli imprenditori bergamaschi o da un effetto di stagionalità particolarmente marcato. Fino al secondo trimestre di quest'anno, sono venuti segnali positivi non solo dal mercato interno, ma in particolare da quello estero. La spinta proveniente da quei paesi sui quali l'economia bergamasca ha costruito buona parte delle proprie fortune emerge inoltre chiaramente nelle aspettative per la fine dell'anno: la domanda estera è prevista in aumento di ben 30 punti percentuali contro i 19 della domanda interna.

La piccola impresa crea occupazione

Il 1997 si è aperto con buoni auspici per quanto riguarda l'occupazione: sia da parte delle imprese industriali che da quelle artigiane sono venuti segnali confortanti. Nell'industria le variazioni sul trimestre precedente sono risultate positive (+0,5%) per i primi due periodi dell'anno, ma il terzo trimestre ha rivelato un cambiamento di tendenza con un calo netto dello 0,5 per cento.

L'artigianato ha invece mantenuto le promesse dell'inizio dell'anno anche nell'ultimo periodo, facendo registrare un piccolo ma significativo progresso pari allo 0,3 per cento.

La dinamica occupazionale nell'industria bergamasca ha comunque seguito da vicino le tendenze di quella lombarda, recuperando con un leggero ritardo la discesa realizzatasi in corrispondenza del quarto trimestre 1996. Come vedremo più avanti, questo ritardo ha probabilmente origine nella maggior rigidità del mercato del lavoro bergamasco. La tendenza è risultata omogenea nei diversi settori, con l'eccezione positiva della gomma-plastica che, dopo aver realizzato risultati migliori della media lungo tutto il periodo, anche nel terzo trimestre risulta in controtendenza (+1,5%).

Per questa edizione del Rapporto sull'economia bergamasca possiamo disporre dei risultati della prima edizione dell'indagine annuale Excelsior sui fabbisogni occupazionali e formativi espressi dalle imprese lombarde manifatturiere e di servizio per il biennio 1996-1998; i risultati per Bergamo e la Lombardia sono riassunti nella tabella 1.2. Se se ne può trarre una conferma di quanto è sempre emerso dalle nostre precedenti rilevazioni, ovvero che, sia a Bergamo che in Lombardia, la dinamica delle piccole imprese compenserà ampiamente il calo delle grandi realizzando un piccolo aumento dell'occupazione dipendente totale.

Complessivamente, si prevede una crescita netta di 984 occupati in provincia e di 8.159 in Lombardia, derivanti dalla differenza tra entrate (11.600 a Bergamo e 111mila .in Lombardia) e uscite (rispettivamente 10.600 e 102.500). In termini percentuali le previsioni per la bergamasca coincidono con il quadro lombardo: in entrambi i casi il saldo tra entrate e uscite risulta positivo dello 0,4 per cento. Si tratta di un risultato che può apparire modesto, ma che va interpretato alla luce delle modificazioni strutturali che il mercato del lavoro sta attraversando. La rilevazione si riferisce infatti a una sola componente dell'offerta di lavoro, quella legata a contratti di lavoro dipendente. Tale componente rappresenta nella bergamasca circa il 73 per cento dell'occupazione totale (ovvero 276mila su 377mila addetti) e sono molti i segnali che mostrano come si stia verificando uno spostamento verso quella indipendente, meglio in grado di incontrare le esigenze di flessibilità delle aziende. Almeno in una fase di espansione, quindi, i risultati delle previsioni sottostimerebbero l'effettiva capacità di creare occupazione da parte del sistema produttivo orobico.

Bergamo si posiziona esattamente a metà nella classifica delle province più virtuose. In questa graduatoria si trova infatti al sesto posto, preceduta da Lecco (il cui saldo positivo è pari all'1,7%), Brescia e Mantova (1,5%), Lodi (1,4%), Como (1,3%), ma davanti a Milano (+0,1) e alle province in cui si prevede un calo dell'occupazione Cremona (-0,1%), Varese (-0,3%), Pavia e Sondrio (-0,6%).

Le prospettive occupazionali accomunano Bergamo e Lombardia solamente in relazione alle dinamiche quantitative. Assai differenti sono invece i profili di crescita se si considerano i settori, le qualifiche e le dimensioni delle imprese. Ancora una volta infatti Bergamo riafferma la propria peculiarità strutturale basata sul grande dinamismo delle piccole imprese manifatturiere. Più che nel resto della Lombardia, la crescita occupazionale risulta infatti garantita dalle imprese con meno di 50 dipendenti. Particolarmente efficace risulta inoltre essere la classe delle aziende con meno di 10 addetti nelle quali si prevede un aumento dell'occupazione dipendente del 2 per cento (1,5% in Lombardia). D'altro canto la dinamica delle grandi (oltre 200 addetti) risulta esattamente opposta, a Bergamo si prevede infatti che queste diminuiscano l'occupazione di oltre un punto percentuale, contro un calo dello 0,7 in Lombardia.

A Bergamo, come in Lombardia, la crescita più significativa avviene nel settore dei servizi (rispettivamente 1,1 e 1,8 per cento), ma mentre in Lombardia si verifica un calo (-0,5%) nell'industria, a Bergamo questa continua, seppur in misura inferiore alla media, a creare occupazione. A questo proposito, tra i settori di specializzazione, i più dinamici risultano le industrie dei metalli (+1,6%) e, coerentemente con i risultati dell'indagine congiunturale, la gomma-plastica (+1.4%). In controtendenza risulta invece il settore tessile-abbigliamento. Tornando al settore dei servizi, le previsioni paiono contrastare con gli ultimi risultati dell'indagine sulle forze di lavoro dell'Istat. Come vedremo, quest'ultima evidenzia infatti un calo a carico del comparto del commercio, che nelle previsioni risulta invece decisivo per la crescita complessiva (+2,8 in bergamasca e +3,9 in Lombardia).

I risultati per livelli di inquadramento mostrano come in Lombardia si preveda una crescita basata sui livelli impiegatizi, mentre a Bergamo beneficerebbero dello sviluppo occupazionale nella stessa proporzione operai e impiegati. A Bergamo inoltre si verifica un calo più accentuato dei dirigenti.

Segnali di fiducia: la crescita è dietro l'angolo

Le aspettative per il trimestre successivo formulate dagli imprenditori raggiunti dall'indagine si sono fino ad oggi dimostrate un buon indicatore delle tendenze emergenti. Sia relativamente alla produzione  che all'occupazione  il clima di fiducia pervade tutti i settori.

Il profilo descritto dalle prospettive per la produzione coincide sostanzialmente con l'andamento effettivo del ciclo. Anche scontando l'eccessiva fiducia dimostrata dagli imprenditori nell'ultimo anno, in cui la forbice tra aspettative e produzione si è allargata, le indicazioni che se ne traggono sono assai favorevoli. Il saldo tra aspettative di crescita e di contrazione appare complessivamente positivo del 30 per cento, lo stesso livello raggiunto all'inizio del 1994, alle soglie del più recente picco della produzione. L'entusiasmo per il futuro è evidente in particolare nella meccanica (+40%), ma in tutti i settori il saldo risulta positivo di oltre 20 punti percentuali.

Anche per quanto riguarda l'occupazione le aspettative sono ampiamente favorevoli, le indicazioni di crescita superano infatti quelle di calo di circa 12 punti percentuali. Particolare ottimismo, a conferma di quanto emerso nell'indagine Excelsior, si riscontra nella gomma-plastica (+30%) e nella meccanica (+20%), mentre si muove in controtendenza il settore dell'abbigliamento (-5%).

Prudenza nelle decisioni di investimento del 1996

Dalla consueta indagine sugli investimenti condotta dalla CCIAA di Bergamo, possiamo osservare le decisioni di investimento delle imprese manifatturiere bergamasche nel corso del 1996. Periodo che, lo ricordiamo, ha rivelato una tendenza negativa a livello nazionale .

Complessivamente nella bergamasca emergono segnali contraddittori: mentre subiscono una contrazione le imprese che dichiarano di investire, e soprattutto diminuisce il saldo tra le segnalazioni in aumento e in diminuzione delle risorse investite rispetto all'anno precedente, cresce invece notevolmente la quota del fatturato da queste destinata agli investimenti.

Come abbiamo già avuto occasione di ricordare in questo rapporto, le imprese bergamasche non dovrebbero correre il rischio di trascurare l'adeguamento e il rinnovo della loro capacità produttiva date le difficoltà che il sistema produttivo locale ha spesso incontrato nel fronteggiare la crescita della domanda. Dopo un biennio, 1994-1995 in cui la struttura produttiva locale ha lavorato con lungimiranza cercando di aumentare la propria posizione competitiva, nel 1996 ha prevalso la prudenza. Evidentemente su ciò ha pesato anche l'anticipo di alcune decisioni di investimento nell'anno precedente a seguito dei provvedimenti governativi (gli incentivi agli investimenti previsti dalla Legge Tremonti).

Va comunque rilevato che la quota del fatturato destinata agli investimenti  risulta in ulteriore crescita rispetto all'anno precedente. Il livello è addirittura superiore anche al picco del 1992, sfiorando il 9 per cento complessivo. La dinamica ha beneficiato pesantemente della tendenza seguita dalla gomma-plastica (11%), mentre tra gli altri settori meccanica e abbigliamento rimangono sulle posizioni dell'anno precedente (intorno al 9%) e l'abbigliamento sconta una contrazione di 2 punti percentuali (scendendo al 6%).

Passando all'osservazione della quota delle imprese che dichiarano di investire sul totale delle imprese intervistate, riscontriamo una piccola contrazione rispetto ai due anni precedenti: la quota scende infatti all'82 per cento. Solo il settore tessile si muove in controtendenza, toccando il 90 per cento, gli altri settori denotano un calo, che si mostra più intenso nell'abbigliamento, continuando una discesa cominciata nel 1994.

L'ultimo indicatore mostra la variazione delle risorse investite dalle imprese. Complessivamente, risulta in abbondante calo (dal 50 al 15%) il saldo tra risposte in aumento e in diminuzione. Tutti i settori di maggiore specializzazione seguono la tendenza generale: in particolare, e ciò non può non sorprendere dati i risultati alle variabili già analizzate, particolarmente negativo è il bilancio della gomma-plastica in cui il saldo risulta negativo di ben 30 punti percentuali. Anche la meccanica vede diminuire ampiamente le scarto tra le imprese che dichiarano di avere aumentato le risorse investite e quelle che le hanno diminuite.

Un segnale d'allarme relativo alla destinazione degli investimenti delle imprese bergamasche è stato recentemente lanciato sulla base dei risultati di una ricerca condotta sulle piccole e medie imprese bergamasche e di altre realtà del Nord-est. I risultati mostrano che le aziende bergamasche tendono a trascurare gli aspetti strategici privilegiando quelli più tradizionali. In particolare le aziende bergamasche destinano i propri sforzi sull'area della produzione trascurando l'innovazione. Le imprese bergamasche risultano quindi deboli, nel confronto con le realtà del Nord-est, sul fronte dell'innovazione di prodotto, la diversificazione di prodotti e mercati e l'incremento della qualità, perseguendo esclusivamente obiettivi quali l'aumento della produttività e la riduzione dei costi.

Anche nell'industria riprende a crescere il numero delle imprese

Nella figura 1.15 troviamo la serie storica, relativa al periodo 1986 - terzo trimestre 1997, del tasso netto di natalità delle imprese manifatturiere (rapporto tra saldo delle imprese nuove iscritte e cancellate e stock di iscritte al Registro Ditte) riferito alla provincia di Bergamo e alla Lombardia. Fino al 1990, il tasso netto di natalità, pur mostrando un trend decrescente, ha mantenuto un valore positivo: in ciascun periodo il numero delle imprese nate è stato infatti superiore a quello delle imprese che hanno cessato la propria attività. Il risultato accomuna la Lombardia e la provincia bergamasca, anche se quest'ultima ha fatto registrare risultati relativamente peggiori a partire dal 1988.

Nei periodi successivi al 1990, oltre a continuare il trend decrescente, le imprese che hanno cessato di esistere hanno però superato le nuove nate. La crisi internazionale, con i primi sintomi di rallentamento di domanda e produzione, ha influito pesantemente sulla natalità netta. L'indicatore passa infatti, sia per la provincia che per la regione, da +2,5 a -4 per cento in soli tre anni.

Il profilo negativo della natalità netta del settore manifatturiero è stato comunque bilanciato dalla continua crescita nel settore dei servizi durante la seconda metà degli anni ottanta e i primi anni novanta. Il fisiologico spostamento del baricentro dell'economia dall'industria al terziario è stato inoltre caratterizzato dal progressivo sviluppo di aree di business innovativo e quindi di imprese in grado di soddisfare la domanda di servizio proveniente dalle persone e dalle imprese.

Negli ultimi anni (a partire dal 1993) la tendenza negativa del tasso netto di natalità delle imprese manifatturiere, in bergamasca come in Lombardia, si ridimensiona gradualmente. Nel corso del 1995 e del 1996 la provincia bergamasca si rivela terreno assai più fertile della media lombarda. Nel 1996, in particolare, la natalità netta nella provincia non risente che marginalmente del rimbalzo negativo registratosi a livello regionale.

L'ultimo dato in nostro possesso (relativo al terzo trimestre 1997) mostra un incremento del tasso netto di natalità che risulta appena superiore allo zero. La dinamica positiva è più pronunciata in Lombardia tanto che, alla fine del periodo, il risultato è praticamente analogo a quello bergamasco.

Il dinamismo imprenditoriale mostra dunque segnali di ulteriore recupero, anche se occorre rilevare le dimensioni che assume il fenomeno della mortalità delle imprese. Questo infatti ha ancora dimensioni tali da suscitare alcuni interrogativi sulla natura del ricambio imprenditoriale e sulla sua capacità di generare e mantenere nuova occupazione, vista la scarsa capacità di sopravvivenza delle imprese di nuova formazione. Va inoltre notato che gran parte della crescita è spiegata dalla dinamica delle imprese individuali, per definizione meno stabili e strutturate delle società di capitale. Ancora una volta proprio questa tipologia mostra i risultati più brillanti: a giugno il tasso netto di natalità delle ditte individuali nel settore manifatturiero risultava circa doppio rispetto a quello delle società di capitale (3,6 rispetto a 1,7%) e ancora superiore rispetto a quello delle società di persone (0,9%).

Spostando lo sguardo dalla sola industria di trasformazione all'intera economia, notiamo che il numero delle imprese bergamasche attive è passato da circa 68mila nel dicembre 1996 a oltre 73mila nel giugno del 1997, realizzando una crescita complessiva del 7,9 per cento. Nello stesso periodo l'incremento in Lombardia è risultato leggermente superiore (8,5%), in quanto le imprese sono cresciute da 661mila a 717mila.

La figura 1.16 scompone per settori la natalità netta delle imprese nel terzo trimestre del 1997. I risultati complessivi sono, anche in questo caso, leggermente migliori in provincia di Bergamo che in Lombardia. Quest'ultima compensa con i servizi il calo ancora realizzato nel manifatturiero, mentre a Bergamo i risultati sono sostanzialmente analoghi nei due settori. Passando alla massima disaggregazione, in cui i valori vanno analizzati tenendo presente il numero complessivo di imprese attive, particolarmente positivi e superiori ai corrispettivi lombardi sono i risultati nel comparto energetico e nelle costruzioni. Superiori alla media anche le performance dei trasporti e degli intermediari finanziari. Avranno però maggiori effetti a livello occupazionale i risultati negativi conseguiti nel commercio, settore nel quale si registra un tasso negativo praticamente uguale a quello lombardo. Particolarmente sfavorevole risulta poi la dinamica nel settore dell'istruzione (-1,7%).
 



Pagina precedente