Tardano i segnali di una ripresa consistente e duratura in Lombardia
L'occupazione in Lombardia continua a diminuire e ha raggiunto il minimo degli ultimi cinque anni: i dati del terzo trimestre 1997 mostrano una riduzione su base annua di 20mila unità (pari allo 0,5% dei 3 milioni e 677mila occupati). La sfiducia nella possibilità di trovare lavoro determina una più che proporzionale diminuzione anche delle persone in cerca di occupazione, scese di 8mila unità (-3,6%). La tendenza del mercato del lavoro lombardo sembra divergere da quella emersa nel Veneto, che, nello stesso periodo, ha visto crescere i propri occupati di 30mila unità, e risulta addirittura peggiore della media nazionale, sostanzialmente stabile.
Il calo occupazionale in Lombardia riguarda tutti i settori, incluso il terziario che aveva invece manifestato una continua crescita tendenziale per tutto il 1996 e la prima metà del 1997. La riduzione in questo settore risulta assai più pronunciata che negli altri: esso perde infatti 10mila unità contro le 5mila dell'agricoltura e le 4mila dell'industria. D'altro canto, proprio il secondario attenua la tendenza negativa emersa nei tre trimestri precedenti.
Per quanto riguarda la posizione professionale, la riduzione investe in eguale misura gli occupati con contratto di lavoro dipendente e gli indipendenti, anche se in termini percentuali il calo risulta più pronunciato per questi ultimi.
Segnali confortanti per l'occupazione in bergamasca
Per quanto riguarda i mercati del lavoro provinciali, la mancanza di una rilevazione infrannuale non ci consente di disporre di dati ufficiali altrettanto aggiornati. Gli ultimi dati resi pubblici dall'Istat sono relativi al 1996. In tale periodo il tasso di disoccupazione di Bergamo è ulteriormente diminuito. Esso è sceso infatti dal 3,4 al 3,1 per cento che costituisce un risultato sensibilmente migliore della media lombarda (da 6,2 a 6,1%). Tra le province si posizionano su livelli inferiori solamente Cremona (2,9) e Lecco (2,3%). Durante lo scorso anno Bergamo è risultata al quinto posto tra le migliori province italiane per livello di disoccupazione. In particolare, è importante sottolineare che in tale classifica precede tutte le province venete e segue, tra le non lombarde, solamente Bolzano e Reggio Emilia (i cui tassi di disoccupazione sono rispettivamente del 2,8 e del 2,6%).
La tabella 1.11 contribuisce a spiegare, almeno in parte, il motivo di un tasso di disoccupazione così basso (inferiore a quello che la teoria economica considera "frizionale") nella provincia orobica. Basta infatti osservare il tasso di attività, che fornisce un'indicazione della partecipazione della popolazione al mercato del lavoro. Esso risulta (salvo Cremona) il più basso in tutta la Lombardia, staccato di ben due punti percentuali dalla media regionale e contribuisce, in particolare, a mantenere molto basso il tasso di disoccupazione femminile che risulta uguale al 4,9 per cento a fronte di una media delle altre province lombarde pari al 9,2 per cento.
La provincia bergamasca perde qualche posizione se si tengono in considerazione nel calcolo del tasso di disoccupazione i lavoratori in cassa integrazione. In questo caso infatti essa compare all'ottavo posto a livello nazionale (con il 3,5%), preceduta da province nelle quali evidentemente si fa proporzionalmente meno ricorso a questo ammortizzatore sociale (Belluno, Mantova, Vicenza e Modena oltre a quelle che già precedevano).
Per disegnare un quadro tempestivo dell'andamento del mercato del lavoro a livello locale, occorre far ricorso ai dati forniti dagli uffici provinciali e regionali del lavoro. L'utilizzo dei dati di collocamento richiede una certa cautela. I problemi sono legati soprattutto al carattere amministrativo e non statistico della rilevazione: il dato degli iscritti è solo una proxy della disoccupazione, esistendo la possibilità di iscrizioni in più province e di non-iscrizioni - in particolare da parte di lavoratori alla ricerca di primo impiego e/o laureati. Esistono poi lacune nella gestione dei dati (non sempre le cancellazioni sono registrate immediatamente quando avvengono) e vige una scarsa standardizzazione delle procedure tra i singoli uffici. In ogni caso tali informazioni possono essere proficuamente utilizzate per leggere e confrontare le tendenze del mercato del lavoro nel medio periodo. Va inoltre rilevato che i risultati forniti dagli indicatori del collocamento non collimano con le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro. In particolare il saldo avviati - cessati tende a sovrastimare la capacità di creazione di posti di lavoro da parte delle imprese della provincia.
Ecco, in estrema sintesi, le principali tendenze emerse nell'ultimo periodo:
la dinamica risultante dai saldi tra avvii e cessazioni di rapporti di lavoro ha ripreso una tendenza favorevole, dopo qualche trimestre negativo;
gli iscritti al collocamento hanno fatto registrare un notevole incremento dopo la discesa verificatasi nell'ultimo periodo del 1996. Nei primi due trimestri dell'anno sono stati raggiunti i livelli record del terzo trimestre del 1996 superando ampiamente quota 40mila;
la tendenza degli avviamenti denota un sostanziale miglioramento nell'ultimo anno. Negli ultimi mesi considerati è stata riscontrata una netta crescita degli avviamenti che in gennaio e in giugno hanno superato ampiamente quota 5mila. In sostanza, le variazioni su base annua hanno iniziato a registrare valori in progresso fino a divenire positive negli ultimi mesi;
anche i tassi di avviamento sono migliorati dopo la discesa dell'anno precedente, anche se nel secondo trimestre di quest'anno l'indicatore ha segnato il passo, soprattutto a causa della crescita degli iscritti; il loro livello si mantiene comunque ampiamente al di sopra della media regionale
il ricorso alla CIG ordinaria è tornato ai livelli dell'inizio del 1996 dopo un periodo di ascesa.
Il mercato del lavoro bergamasco sta come sempre mostrando buone capacità di creazione di posti di lavoro. La tendenza al recupero dei livelli occupazionali persi dall'inizio del 1991, che si era arrestata in corrispondenza della metà del 1996, ha ripreso vigore a partire dal primo trimestre di quest'anno (figura 1.20). L'indicazione che si può trarre dalla dinamica dei saldi cumulati del collocamento mostra che seppur ancora lontano dai livelli iniziali (il punto zero sull'asse delle ordinate corrisponde agli occupati del gennaio 1989), il sistema continua a creare nuova occupazione.
Il tessuto produttivo bergamasco, è comunque riuscito, con pochi eguali nel paese, a garantire sostanzialmente un livello di piena occupazione. Spiegano tale risultato soprattutto elementi strutturali e competitivi del sistema delle imprese, ma anche fattori legati alla qualità delle risorse umane. Va quindi innanzitutto considerato il mix settoriale e dimensionale delle imprese che ha visto le piccole realtà riuscire a compensare le perdite occupazionali provocate dalle ristrutturazioni effettuate dalle grandi. In secondo luogo è evidente la grande competitività del sistema produttivo locale e il crescente successo sui mercati mondiali. Ricordiamo infine il recente sviluppo, pur in ritardo rispetto ad altre zone del paese, di un dinamico settore di servizi. Per quanto attiene invece alle caratteristiche legate ai fattori umani grande importanza riveste la propensione a diventare imprenditori di se stessi: lavoro autonomo e imprese individuali, elementi caratterizzanti il tessuto produttivo bergamasco, garantiscono mobilità orizzontale e estrema flessibilità al sistema produttivo.
Sono sempre di più gli iscritti al collocamento
Non pare invece arrestarsi la corsa degli iscritti al collocamento, ormai praticamente raddoppiati rispetto al 1991. Nello scorso mese di giugno il loro numero ha sfiorato quota 43mila, denotando una crescita del 27 per cento dal gennaio 1996 equivalente a oltre 9mila persone. Occorre ad ogni modo rilevare che il fenomeno non è una peculiarità bergamasca: la crescita ha infatti seguito un profilo analogo, appena meno pronunciato, a livello regionale (figura 1.21).
Come avviene ormai da alcuni anni, i dati hanno acceso un dibattito tra chi vi ha letto l'avvio di una vera e propria crisi occupazionale e chi tendeva a interpretare il dato esclusivamente in termini di aumentata attrattività del mercato del lavoro per lavoratori in precedenza scoraggiati. A nostro avviso, dato il peso degli iscritti sul totale della popolazione, siamo ben distanti da un eventuale allarme occupazionale.
Emergono invece sempre più i segnali che ci fanno pensare che il numero degli iscritti risulti sovrastimato per varie ragioni: in primo luogo risultano incluse nelle liste di collocamento bergamasche persone che in realtà non sono affatto disoccupate e altre residenti in altre province. Inoltre la dinamica degli ultimi due anni, con l'arretramento del numero registratosi in occasione della fine del 1996, risulta piuttosto sospetta: essa infatti potrebbe nascondere il fatto che gli uffici di collocamento tendono a concentrare le cancellazioni dai registri nel periodo conclusivo dell'anno. In tal caso, prima di svolgere delle considerazioni sulla dinamica trimestrale, occorrerebbe attendere il dato annuale.
Comunque, tornando alla misura di quanta parte della crescita degli iscritti possa essere determinata da una crescita dell'attrattività del mercato del lavoro, possiamo pensare che se è probabile che ciò si verifichi in una fase espansiva, difficilmente questo fenomeno può spiegare da solo l'incremento del numero degli iscritti che si verifica con uguale intensità in fasi espansive e recessive. La tendenza è secondo noi il risultato sia di una crescente attrattività del mercato che di una sua incapacità di trovare sbocchi occupazionali in particolar modo a alcune tipologie di disoccupati. Si tratta in particolare di donne, giovani diplomati e disoccupati con oltre 30 anni. A conferma di ciò, si può notare come sia in continua ascesa sia il numero dei disoccupati che il numero di iscritti nella fascia di età più elevata. Mentre i disoccupati hanno superato l'80 per cento del totale, gli ultra trentenni sono praticamente giunti a costituire la metà degli iscritti nella prima metà del 1997, in netto aumento sul 1996. Per comprendere la portata del fenomeno si pensi che la loro quota era del 38,3 per cento nel 1991. La tendenza risulta analoga in Lombardia, ma gli indicatori danno segnali meno preoccupanti: la quota dei disoccupati risulta stabile intorno al 71 per cento e quella degli ultra trentenni è pari al 46 per cento.
Il problema investe inoltre in maniera particolare le figure scolarizzate (diplomati e laureati) per le quali più difficilmente si rendono disponibili opportunità proprio a causa di alcuni caratteri specifici della struttura produttiva bergamasca, innanzitutto la scarsa terziarizzazione interna e esterna alle imprese. Per quanto attiene poi i disoccupati non più giovanissimi, essi si trovano in qualche modo spiazzati dai lavoratori più giovani che possono essere inseriti con contratti di formazione lavoro o di apprendistato. In queste condizioni è chiaro che risulta più difficoltoso l'avviamento al lavoro di figure scarsamente specializzate con aspettative di retribuzione superiori ai minimi. Da questo punto di vista una risposta i cui effetti andranno però valutati attentamente sul campo, deriva dalla recente adozione di una norma, contenuta nel c.d. pacchetto Treu (L.196/97), che prevede la possibilità dell'assunzione in qualità di apprendisti anche dei giovani in possesso di diploma o di attestato di qualifica professionale. Se ciò agevolerà sicuramente i giovani diplomati, rischierà però di ostacolare ulteriormente i lavoratori più anziani.
In ogni caso risulta evidente come domanda e offerta di lavoro fatichino in molti casi ad incontrarsi, per cui anche un aumento dell'offerta lascia una domanda insoddisfatta. A questo proposito vanno segnalate alcune iniziative (da parte di soggetti pubblici e privati) che mirano proprio ad agevolare l'incontro tra lavoratori e aziende:
nel settore del tessile si segnala la crescente collaborazione tra alcune aziende, il Provveditorato alla pubblica istruzione e Istituti Superiori che ha consentito di organizzare stage nelle imprese per i ragazzi del quarto anno;
l'Associazione Commercianti, in collaborazione con l'Utinam e l'Unione industriali, ha costituito il servizio "Punto Lavoro" attraverso il quale vengono raccolti i curriculum dei candidati per essere messi a disposizione delle imprese. Il successo dell'iniziativa è stato così notevole (sono stati ricevuti anche 30 curriculum al giorno) che gli organizzatori hanno in programma di sviluppare il progetto attraverso un collegamento della banca dati ad Internet;
altre iniziative coinvolgono invece gli attori istituzionali; la Provincia nell'ambito di un trasferimento di competenze dal centro alla periferia, prevede di migliorare la propria integrazione con gli uffici periferici del ministero del lavoro da cui potrà finalmente ricevere in tempo reale tutti i dati del collocamento. L'osservazione dell'evoluzione di domanda e offerta di lavoro consentiranno di finalizzare maggiormente le iniziative del servizio Orientalavoro. Per il potenziamento di tale servizio la Provincia sta studiando alcune esperienze di successo estere come quella della Catalogna. E' importante notare come recentemente, sulla base dei nodi strutturali del mercato del lavoro provinciale, si stia verificando uno spostamento delle iniziative di formazione verso la formazione continua (aggiornamento professionale) e i corsi post-diploma.
In ripresa la creazione di posti di lavoro
L'esame della dinamica degli avviamenti (tabella 1.13 ) mostra come si stia uscendo da una fase discendente, cominciata già nel 1995, che ha manifestato per tutto il 1996 variazioni tendenziali di segno negativo. La capacità di assorbimento di manodopera da parte del sistema bergamasco sta quindi decisamente migliorando.
Qualche segnale di inversione di tendenza si era avuto nel periodo centrale del 1996, ma la fine dell'anno aveva gelato le aspettative, mostrando un improvviso declino degli avviamenti. Tale fase sembra ora superata e a partire dall'inizio dell'anno gli avviamenti hanno preso a crescere nel confronto annuale. A partire da gennaio in provincia si sono registrate 29mila assunzioni con una crescita minima (+0,3%) sullo stesso periodo dell'anno precedente. La media mensile risulta in crescita tra il 1996 e il 1997 passando da 4.600 a 4.800 unità.
Particolarmente positivi i risultati nel settore dei servizi ("altri settori"), ma dopo alcuni periodi di marcata diminuzione anche il settore industriale, tradizionalmente più sensibile al mutamento del ciclo, ha cominciato a recuperare posizioni. A partire dall'inizio di quest'anno ha infatti preso a chiudersi il divario tra i due settori. In ogni caso occorre notare che il peso degli avviati nel terziario, che continua a rimanere ridotto rispetto alla media lombarda, è in continua crescita dal 1991. Nel 1997 si è attestato intorno al 32 per cento dei nuovi avviati.
Gli avviamenti per qualifica offrono qualche indicazione utile per comprendere la portata del mismatch tra domanda e offerta di lavoro a cui abbiamo accennato. Anche in quest'ultima fase, il sistema ha dimostrato infatti di poter creare lavoro soprattutto a personale operaio qualificato che rappresenta il 38 per cento degli avviamenti totali. Anche nei peggiori momenti congiunturali la domanda di lavoro per questa qualifica rimane su livelli superiori alla media. Per lunghi periodi infatti il livello di avviamenti è rimasto più elevato di quello che si aveva all'inizio del 1989. Anche negli ultimi due trimestri manifesta una buona crescita, mentre più blando risulta l'andamento degli operai generici e degli apprendisti (che costituiscono rispettivamente il 33 e il 13% degli avviati). Durante il 1997 inoltre la tendenza degli avviamenti di impiegati è migliore di quella degli operai generici, pur costituendone circa la metà in valore assoluto.
Come abbiamo già ricordato, la vera misura della capacità del sistema di assorbire manodopera è data però dal saldo tra avviamenti e cessazioni. Dopo anni di crisi, a partire dal secondo trimestre del 1994 gli avviamenti al lavoro hanno preso a superare costantemente le cessazioni. La dinamica positiva è durata praticamente fino alla metà del 1996, quando, dopo una fase di rallentamento si sono realizzati dei risultati negativi.
I risultati dei primi due trimestri del 1997 hanno però consentito il recupero delle posizioni perdute e ora la dinamica ha preso un percorso che sembra favorevole: a partire dal mese di gennaio il saldo positivo risulta pari a 3.769 unità. Relativamente agli ultimi diciotto mesi appare interessante notare come la crescita dell'occupazione abbia riguardato essenzialmente le donne. La dinamica degli uomini risulta infatti piuttosto depressa (+171 in complesso, ma -650 nel 1996), mentre per le donne è assai positiva. Ai buoni risultati dell'anno scorso (+1987) vanno infatti sommati quelli del primo semestre, durante il quale si è manifestata una crescita di 1.611 unità che ha portato a raggiungere un totale di 3.600 nuovi posti di lavoro in diciotto mesi. La media mensile degli avviamenti femminili ha raggiunto nel 1997 il massimo dal 1991, essendo risultata pari a 1.752 unità, oltre cento in più rispetto al 1996.
Al fine di rendere comparabile l'indicazione proveniente dalla dinamica dei saldi tra Bergamo e Lombardia, occorre eliminare l'effetto di scala con un procedimento di normalizzazione, ovvero rapportandoli alla somma tra avviamenti e cessazioni. La figura 1.24 mostra un profilo analogo fra provincia e regione, sebbene il dato lombardo sia risultato più brillante già a partire dall'inizio del 1995. Dopo il calo a fine 1996, gli ultimi due trimestri mostrano un netto cambio di tendenza, con i saldi normalizzati che mostrano risultati positivi e crescenti: nell'ultimo periodo il saldo normalizzato lombardo sfiora il 10 per cento, mentre quello bergamasco si attesta intorno al 7 per cento.
Risulta invece migliore in bergamasca la performance relativa ai tassi di avviamento (misurati dal rapporto tra avviati e iscritti) dal collocamento. Per tutto il periodo 1991/96 il mercato del lavoro bergamasco si dimostra meglio in grado di offrire sbocchi professionali agli iscritti alle liste di collocamento (figura 1.25). Il risultato bergamasco è migliore non solo della media lombarda ma anche di quello di ciascuna provincia. A Bergamo come in Lombardia, dopo tre trimestri di dinamica favorevole, l'ultimo dato mostra un arretramento, ma ciò deriva essenzialmente dalla crescita degli iscritti alle liste piuttosto che da un calo degli avviamenti.
Particolarmente interessante risulta l'analisi dalla dinamica degli avviamenti per tipo di contratto (figura 1.26).
Nonostante la struttura produttiva manifatturiera non si addica allo sviluppo di rapporti di lavoro basati su contratti atipici (part-time o a tempo determinato), più diffusi nel settore dei servizi, il loro numero è in netto aumento a partire dal 1994. Pur rimanendo assai distante dalla media lombarda - in cui nell'ultimo semestre è stato avviato con contratto atipico praticamente un lavoratore su due (49,5%) - anche il sistema bergamasco sta adeguandosi alla tendenza generale aumentando la propria flessibilità. Circa il 36 per cento degli avviamenti dell'ultimo semestre è avvenuto con contratti atipici, di cui l'80 per cento a tempo determinato. L'aumento della flessibilità corrisponde del resto ad un aumento della precarietà del lavoro; a questo proposito una misura del tasso di precarietà è data dal numero degli avviamenti senza cancellazione: nell'ultimo semestre questa tipologia ha diminuito il suo peso dal 42 al 35 per cento del totale degli avviamenti con contratti atipici. Sono invece aumentati, dopo due anni di calo, i contratti di formazione lavoro: vengono avviati in questo modo quasi 600 giovani ogni mese.
Liste di mobilità ed extracomunitari: meglio a Bergamo
Numerosi avviamenti al lavoro avvengono attraverso il passaggio dalle liste di mobilità. I dati (figura 1.27) mostrano come essere iscritti nelle liste bergamasche garantisca molte più probabilità di ritrovare un impiego rispetto alla media delle altre province lombarde. A Bergamo e in Lombardia risultano in aumento sia gli iscritti che la capacità di collocarli, misurata dal tasso di avviamento: questo indicatore raggiunge nella bergamasca un valore notevolmente più alto della media lombarda: 95 per cento a fronte di una media del 65 per cento.
Un'altra misura della capacità di un sistema economico di fornire risposte a chi cerca un impiego è costituita dal collocamento dei cittadini extracomunitari. Anche in questo caso il mercato del lavoro bergamasco si dimostra più efficace della media lombarda. I fenomeni evidenziati in precedenza trovano riscontro anche in questo caso: a partire dal 1995 il tasso di avviamento nella bergamasca ha fatto registrare un sensibile calo che, contrariamente a quanto avvenuto per i cittadini italiani, è proseguito anche nel 1996 e nella prima metà del 1997. I cittadini extracomunitari iscritti alle liste del collocamento in provincia di Bergamo sono circa 3mila e il tasso di avviamento (9,6%) risulta di qualche punto inferiore rispetto alla media del collocamento.
Nonostante la ripresa degli avviamenti a livello lombardo, anche nell'ultimo semestre la performance bergamasca risulta migliore della media regionale. Anche questo risultato può essere spiegato dalla specificità della provincia che assorbe soprattutto figure operaie. E' quindi molto probabile che nella provincia la possibilità di impiego per i cittadini extracomunitari sia relativamente più elevata che altrove per il persistere di una domanda di lavoro che rimane insoddisfatta dai lavoratori italiani.
Diminuiscono i casi di crisi aziendale e il ricorso alla Cassa Integrazione Ordinaria
Chiare indicazioni di un miglioramento del ciclo derivano anche dalla dinamica della cassa integrazione ordinaria. Dopo il punto di massimo, toccato in corrispondenza del secondo trimestre del 1996, la tendenza è cambiata e, prima che in Lombardia, l'utilizzo di questo strumento da parte delle imprese bergamasche ha preso a diminuire. Attualmente il livello è tornato alle stesse posizioni (circa 100mila ore mensili) dell'inizio del 1996. Come nei periodi precedenti il risultato bergamasco risulta migliore della media lombarda. Tutti i settori di maggiore specializzazione vantano buoni andamenti a partire dall'inizio dell'anno: edilizia, meccanica e tessile, che hanno raggiunto i livelli minimi dal 1993.
1.5 Conclusioni
Uscita dalla lunga fase di ristagno del 1996 l'economia italiana ha continuato ad essere condizionata da un mix di politiche economiche particolarmente restrittive che hanno determinato una crescita inferiore a quella dei principali partner europei.
L'economia bergamasca ha seguito abbastanza da vicino gli sviluppi emersi a livello nazionale; la fase di ripresa attraversata nella prima metà dell'anno ha conosciuto nel terzo trimestre ritmi di crescita piuttosto rallentati che hanno investito sia la produzione industriale che quella artigiana. L'ultima rilevazione presso le imprese mostra però dei segnali di miglioramento: sono infatti estremamente positive le aspettative sia per la domanda interna che, in maniera particolare, per quella estera. La ripresa del ciclo nei principali partner commerciali della provincia orobica potrebbe favorire le imprese della zona. Data la recente dinamica delle scorte di prodotti finiti e le aspettative per una diminuzione dei tassi di interessi reali, la prevista crescita della produzione nei prossimi trimestri potrebbe risultare amplificata dalla ripresa del ciclo delle scorte.
Anche in un momento non particolarmente favorevole per la bilancia commerciale italiana, il sistema economico bergamasco riafferma di anno in anno la propria superiorità nel raggiungere i mercati mondiali, marciando più rapidamente delle altre aree del paese: nel corso del 1997 cresce il suo apporto al saldo positivo nazionale, così come la sua quota di export sul totale lombardo e nazionale. Ancora una volta il settore vincente è quello delle macchine agricole e industriali, vero propulsore dell'economia bergamasca.
Risulta poi in ulteriore ripresa il dinamismo imprenditoriale, misurato dalla natalità delle imprese. Per la prima volta dopo il 1990 le imprese nate superano quelle che hanno cessato la propria attività anche nel settore manifatturiero, anche se occorrerà verificare la solidità delle nuove iniziative imprenditoriali.
Il livello di disoccupazione risulta in ulteriore calo (3,1%) e si posiziona sui livelli minimi del Paese. Il sistema produttivo ha inoltre ripreso, dopo due periodi di calo, a generare nuovi posti di lavoro: il saldo tra avviamenti e cessazioni di rapporti di lavoro risulta ampiamente positivo nel primo semestre del 1997. Le imprese bergamasche, nonostante la tendenza favorevole della flessibilità del mercato del lavoro, mancano però spesso di offrire risposte a categorie particolari di lavoratori quali in particolare i disoccupati di lunga durata e gli ultra trentenni.
Segnali confortanti provengono infine dalle previsioni
occupazionali (alla fine del 1998) formulate dalle imprese manifatturiere
e di servizio. La crescita (piccola, ma identica a quella prevista in Lombardia,
0,4%) si deve in particolare al contributo delle piccolissime imprese che
compensano ampiamente il calo delle più grandi.