Mercoledì 18 Dicembre 2024
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Aumentano le imprese bergamasche che autoproducono energia; industria e commercio al dettaglio i settori più “attrezzati”, ancora indietro i servizi
Il costo dell'energia elettrica è un elemento cruciale per la competitività delle imprese. In Italia, questo costo risulta strutturalmente più elevato rispetto ad altri Paesi europei, principalmente a causa del meccanismo di formazione del prezzo fortemente influenzato da quello del gas, da cui si ricava più del 50% dell’energia elettrica. Lo shock energetico del 2022 è stato perciò un evento tanto più sconvolgente in quanto il sistema era gravato da debolezze strutturali latenti. Il Paese e le imprese hanno reagito, è aumentata la consapevolezza del problema, ma rimane alto il rischio che un nuovo evento eccezionale colpisca nuovamente e con maggiore violenza.
Il tema dell’energia rappresenta quindi un nodo ancora da sciogliere per le imprese italiane, che a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina hanno subito un peggioramento della propria posizione competitiva. La situazione è particolarmente grave in Italia per l’asimmetria dello shock, che in primo luogo non ha colpito gli Stati Uniti e i paesi asiatici, e in seguito ha messo al centro del dibattito politico ed economico la questione degli alti costi italiani e della dipendenza energetica nel confronto con altri Paesi europei.
In occasione della rilevazione congiunturale del terzo trimestre, la Camera di commercio di Bergamo ha approfondito la percezione dell’argomento su un campione di imprese della provincia appartenenti ai settori dell’industria (imprese con almeno 10 addetti), dell’artigianato manifatturiero, dei servizi e del commercio al dettaglio (imprese con almeno 3 addetti). Le risultanze sono state messe a confronto con le risposte fornite nel corso di un’analoga indagine svolta nel 2022, all’apice della crisi energetica.
I risultati mostrano come nell’ultimo anno i costi energetici siano ancora giudicati in crescita dalle imprese, sebbene a ritmi molto più contenuti rispetto al 2022: nel manifatturiero i rincari sono stati inferiori per le imprese industriali (+2,3% per elettricità e gas) rispetto a quelle artigiane (rispettivamente +4,3% e +4,5%), mentre il terziario ha registrato aggravi più marcati per l’elettricità (+6,5% nei servizi e +6,7% nel commercio al dettaglio). Nel 2022 gli incrementi per elettricità e gas viaggiavano tra il +30% e il +50%, con un picco del gas nell’industria pari al +91,3%. Sebbene quindi la situazione di emergenza sia ormai alle spalle, le quotazioni energetiche rimangono in crescita e sono decisamente superiori rispetto a prima del conflitto. L’incidenza delle spese energetiche sul totale dei costi aziendali sfiora il 10% per l’artigianato, mentre registra valori più contenuti per l’industria (6,9%), dove la maggiore dimensione media delle imprese permette economie di scala, e i servizi (6,6%), la cui attività è meno energivora.
Le imprese in questi anni hanno cercato di attrezzarsi per rispondere al problema dell’approvvigionamento energetico: industria e commercio al dettaglio sembrano i settori più maturi, dove circa un’impresa su due (rispettivamente 52% e 53%) ritiene di essere preparata per affrontare eventuali nuove crisi, mentre nell’artigianato tale percentuale scende al 30%; fanalino di coda i servizi, dove la quota è inferiore a un’impresa su quattro (23%). In generale sono le imprese di maggiori dimensioni a dichiarare un maggior grado di adeguatezza.
Concentrando l’attenzione sugli impianti di autoproduzione di energia e considerando anche quelli realizzati negli anni precedenti, l’industria rimane il settore più avanzato: oltre la metà delle imprese (55%) dichiara di esserne dotata, una quota in decisa crescita rispetto al 2022 (41%). Anche commercio al dettaglio (36%) e artigianato (32%) evidenziano un significativo miglioramento rispetto al 2022, che non si registra invece nei servizi, dove la quota di imprese con impianti per autoproduzione di energia rimane ferma a 1 su 5 (19%).