Informazione economica

Mercoledì 20 Gennaio 2021

166 posizioni in meno al Registro imprese nel quarto trimestre 2020

Il quarto trimestre 2020 si chiude con 94.008 sedi di imprese registrate in provincia di Bergamo. Lo stock delle imprese attive (83.791) è in calo tendenziale (-402 posizioni pari al -0,5% su base annua) dalla metà del 2012. Nel periodo considerato si sono avute 1.134 nuove iscrizioni (-2,7% su base annua) e 1.300 cessazioni (-4,3% su base annua), con un saldo negativo di -166 unità (-193 nel corrispondente periodo del 2019).

Le imprese attive aumentano su base tendenziale tra le società di capitale (+1,6%). Diminuiscono le società di persone (-2,8%), le imprese individuali (-0,8%) e le altre forme giuridiche (-2,3%), in prevalenza cooperative.

Tra i settori produttivi, la contrazione delle imprese attive rispetto a un anno fa riguarda il commercio all’ingrosso e al dettaglio (-279 pari al -1,5%), le attività manifatturiere (-199 pari al ‑1,9%, di cui 151 artigiane), i servizi di alloggio e ristorazione (-84 pari a -1,4%), le costruzioni (‑57, pari a -0,3%), il trasporto e magazzinaggio (‑41 pari a ‑1,9%), l’agricoltura, silvicoltura e pesca (-37 pari al -0,8%), le attività di intrattenimento (-5 pari a -0,5%), la fornitura di energia elettrica e gas (-2, pari a -1,2%) e l’estrazione di minerali (-1, pari a -2,1%).

Si registrano aumenti tra i servizi di supporto alle imprese (+104 pari a +3,5%), le attività professionali (+91, pari al +2,4%), le attività finanziarie e assicurative (+42, paria a +1,8%), le attività immobiliari (+17 pari a +0,3%), i servizi di informazione e comunicazione (+16, pari a +0,8%), l’istruzione (+10, pari a +2,3%), le altre attività di servizi (+10 pari a 0,2%), la sanità e l’assistenza sociale (+8 pari al +1,3%) e la fornitura di acqua e gestione rifiuti (+4, pari al 2,1%).

Il settore artigiano, con 30.091 imprese a fine dicembre 2020, registra una riduzione dello 0,6% delle unità registrate su base annua. Lo stock delle posizioni attive diminuisce di 177 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le iscrizioni (344) calano del 7,3% su base annua mentre le cessazioni (405) registrano un rallentamento del 22%. Per questo trimestre si registra un saldo negativo tra iscritte e cessate: -61 unità, in miglioramento rispetto a quello dello stesso trimestre dell’anno precedente, che registrava -148 unità.

Lo spaccato per genere, età e nazionalità delle posizioni attive evidenzia su base annua una flessione (-1,7%) delle imprese giovanili, un leggero aumento delle imprese straniere (+1,8%). In leggera diminuzione le imprese femminili (-0,2%).

Diminuite le procedure concorsuali di fallimento, scioglimento e messa in liquidazione: 306 nel quarto trimestre del 2020, in confronto alle 672 del corrispondente trimestre del 2019.

L’importazione periodica nel Registro imprese dei dati occupazionali comunicati a INPS in base alla localizzazione dell’impresa consente di stimare, con la cautela necessaria di fronte a dati di origine amministrativa, gli addetti, cioè le posizioni lavorative presenti nel territorio per impresa, al netto del settore pubblico e delle attività dei liberi professionisti.

Le 107 mila attive tra sedi e unità locali, diminuite rispetto a un anno fa, impiegano 394.784 addetti. Rispetto allo stesso periodo del 2019 si registra pertanto una diminuzione di 4.184 addetti, con una variazione del -1,0%.

Incrementi si riscontrano nelle costruzioni (+4.144), nelle attività manifatturiere (+3.712) e nei servizi di sanità e assistenza sociale (+1.675),

Rilevanti perdite di addetti su base annua si rilevano nei servizi di noleggio, agenzie di viaggio e supporto alle imprese (-1.914), nelle attività di intrattenimento e divertimento (-506), nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (-217) e nelle attività finanziarie e assicurative (-122).

Commenta questi dati il presidente Carlo Mazzoleni:Ritroviamo nei numeri delle iscrizioni al registro delle imprese da ottobre a dicembre 2020 le tendenze che già osserviamo da anni. A fronte di una contrazione relativamente limitata, si evidenzia il calo tendenziale delle imprese attive, con l’aumento delle imprese di capitali a scapito delle altre forme d’impresa, ossia società di persone, ditte individuali e altre forme giuridiche. I numeri degli addetti, riferiti al trimestre precedente – da considerare con cautela, trattandosi di dati di origine amministrativa –   mostrerebbero la salute delle costruzioni e della manifattura e, come ci si aspettava, emorragie nei settori più colpiti dalle chiusure forzate, come i servizi di noleggio, agenzie viaggio e supporto alle imprese e le attività di intrattenimento e divertimento.

Ultima modifica: Giovedì 11 Febbraio 2021
Martedì 15 Dicembre 2020

Le esportazioni riprendono quota dopo un secondo trimestre negativo, ma non ritornano ai livelli del 2019

Il saldo trimestrale della bilancia commerciale di Bergamo è positivo per 1.614 milioni, inferiore del 6,1% al saldo del trimestre corrispondente dell’anno scorso (1.719 milioni). Il valore delle esportazioni di Bergamo nel trimestre totalizzano 3.585 milioni di euro (‑9,2% su base annua contro variazioni del -7,9% in Lombardia e del -4,9% in Italia). Le importazioni sono state pari a 1.971 milioni (-11,7% tendenziale contro -10,7% in Lombardia e -11,1% in Italia).

Le esportazioni bergamasche hanno ripreso quota rispetto al trimestre precedente. La forte crescita congiunturale (17,4%) è leggermente inferiore rispetto al valore regionale (17,9%), mentre l’Italia nel suo complesso segna un +24,1%, il Nord-est +25,2% e il Nord-ovest +21,7%.

La stessa dinamica di calo tendenziale e crescita congiunturale si avverte su quasi tutti i settori trainanti dell’export provinciale: macchinari (952 milioni, ‑8,6%), prodotti chimici (465 milioni, ‑14,7%), metalli di base (445 milioni, -14,5%), articoli in gomma (340 milioni, ‑8,5%), mezzi di trasporto (336 milioni, -4,9%) e apparecchi elettrici (234 milioni, -4,7%), oltre al tessile e abbigliamento (209 milioni, -13,2%). Solo gli alimentari (225 milioni) sono in calo sia tendenziale (‑3%) che congiunturale (-2,4%).

Nel trimestre in esame l’export di Bergamo per area geografica di destinazione registra un calo tendenziale verso l’area UE 27 post Brexit (-6,2%), nonché verso l’Eurozona (-7,1%). I mercati Extra UE sono in calo ancora maggiore (‑13,1%), dovuto principalmente a un crollo del flusso verso l’America settentrionale e a diminuzioni di minore entità verso l’Africa settentrionale, l’America centro-meridionale e l’Asia centrale; in controtendenza, ovvero in aumento, la variazione verso i paesi europei non UE.

Segnano variazioni negative nel confronto con il corrispondente trimestre del 2019 le esportazioni verso i primi cinque paesi di destinazione delle merci bergamasche che segnano valori negativi: Germania (-5,4%), Francia (‑10,3%), Stati Uniti (-28%), Spagna (‑9,9%) e Regno Unito (-5,9%). In crescita invece le esportazioni verso i successivi cinque paesi più importanti, ovvero Polonia (5,9%), Svizzera (10,9%), Cina (7,6%), Paesi Bassi (1,2%) e Belgio (1,8%). Le esportazioni verso i citati paesi, salvo la Svizzera, accusano un calo anche con riferimento al valore cumulato dell’anno.

Commenta il presidente Mazzoleni: “Il rimbalzo del terzo trimestre ci dimostra che il sistema economico bergamasco, pur non avendo ancora raggiunto i volumi esportati nel corrispondente periodo dell'anno scorso, con minori restrizioni è stato in grado di recuperare buona parte delle relazioni internazionali nell'ambito delle catene del valore transnazionali consolidate. L'analisi per merceologia ci dice che non tutto procede alla stessa velocità. Troppi sono i fattori di incertezza, tra i quali gli effetti della Brexit, per poter fare previsioni attendibili.”

Ultima modifica: Giovedì 17 Dicembre 2020
Martedì 1 Dicembre 2020

Rallenta l'utilizzo delle tecnologie digitali nelle imprese bergamasche

Il sistema camerale lombardo, nell’ambito delle iniziative legate ai Punti Impresa Digitale, ha avviato nel 2017 il monitoraggio dei livelli di conoscenza e di utilizzo degli strumenti e delle tecnologie di Impresa 4.0 tra le imprese. Con la rilevazione compiuta nel terzo trimestre del 2020 c’è la possibilità di confrontare i risultati sull’arco di quattro anni.

La rilevazione del 2020 mostra come il livello di conoscenza delle tematiche 4.0 da parte delle imprese bergamasche continui a crescere, anche se per quanto riguarda l’effettivo utilizzo delle tecnologie abilitanti si nota una lieve battuta d’arresto: la percentuale di conoscenza per le imprese industriali, che si confermano quelle più mature nella transizione digitale, sale all’82%, ma calano lievemente le quote relative alle imprese che stanno valutando una futura adozione delle tecnologie 4.0 e a quelle che le hanno già implementate. Questo rallentamento può essere dovuto ai notevoli sforzi compiuti negli anni precedenti, che avevano visto una crescita sostenuta anche grazie agli incentivi del Piano Nazionale Impresa 4.0, ma anche alle difficoltà di investire in uno scenario di estrema incertezza come quello attuale.

Gli altri settori mostrano percentuali di conoscenza e utilizzo molto inferiori rispetto al comparto industriale, complice una dimensione media minore: i risultati del 2020 fotografano una crescita della conoscenza di queste tematiche, confermando sostanzialmente i livelli registrati nel 2019 per quello che riguarda invece l’effettiva implementazione.

Considerando congiuntamente le risposte delle imprese appartenenti a tutti i settori, le imprese che dichiarano di non conoscere i temi di Impresa 4.0 sono il 29%, 8 punti in meno rispetto all’anno precedente. Di contro, la percentuale di imprese che hanno implementato le tecnologie abilitanti al proprio interno scende dal 19% al 16%.

Il confronto con i risultati emersi a livello lombardo evidenzia che le percentuali bergamasche sono in linea con la media regionale dei diversi settori. Semmai si può riscontrare nell’implementazione un leggero vantaggio per l’artigianato e un lieve ritardo sul terziario. Sulla conoscenza, invece, i valori sempre uguali o superiori ai corrispettivi lombardi.

Alle imprese che hanno implementato soluzioni 4.0 o che stanno valutando di farlo, in gran parte appartenenti al settore industriale, è stato chiesto quali sono le tecnologie abilitanti di particolare interesse. Le risposte confermano la centralità della manifattura avanzata legata alla robotica, mentre al secondo posto si posiziona ancora l’integrazione verticale e orizzontale, sebbene con una percentuale in calo rispetto agli ultimi anni, a pari merito con il cloud, in crescita rispetto al 2019. Seguono big data & analytics, simulazione, cybersecurity e IoT, mentre più marginali risultano la manifattura additiva e la realtà aumentata.

È stato poi chiesto alle imprese in quali altre soluzioni tecnologiche hanno investito o hanno intenzione di investire a breve termine: si tratta di tecnologie non espressamente previste nel Piano di Industria 4.0 ma che ne sono “propedeutiche” e prevedono comunque l’introduzione di soluzioni digitali. Grande interesse riscuotono tutte quelle tecnologie legate alla gestione dei processi aziendali e alla tracciatura dei prodotti (ERP, MES, PLM, SCM, CRM, RFID barcode), indicate dal 70% dei rispondenti, ma risultano in crescita rispetto allo scorso anno anche i sistemi di pagamento tramite dispositivi portatili e internet e le soluzioni fintech e, soprattutto, i sistemi di commercio elettronico e le app, probabilmente anche come risposta alle misure di contenimento del virus che hanno spesso bloccato i canali commerciali tradizionali.

Supporto finanziario e formazione del personale sono i due servizi che vengono indicati come prioritari dalle imprese per favorire la trasformazione in senso digitale. Il primo è indicato soprattutto dalle imprese di minori dimensioni, mentre l’importanza attribuita alla qualificazione del capitale umano risulta crescente all’aumentare della dimensione d’impresa. Al terzo posto si colloca invece la consulenza specialistica, che viene segnalata soprattutto dalle medie imprese, seguita dal miglioramento delle infrastrutture.

In tema di formazione si è anche indagato su quante imprese abbiano partecipato, nell’ultimo anno, a eventi informativi o seminari per sviluppare le competenze digitali: la quota nel 2020 risulta in linea con il dato dell’anno precedente e con la media regionale. L’industria è ancora una volta il settore con i risultati più elevati, sebbene in calo rispetto al 2019, seguito dai servizi, che mostrano invece un miglioramento; inferiore la partecipazione per commercio al dettaglio e artigianato.

I temi trattati in questi eventi e seminari hanno riguardato prevalentemente l’introduzione alle tecnologie 4.0, le loro applicazioni settoriali e le agevolazioni fiscali, ma con percentuali in netto calo rispetto al 2019. In diminuzione anche l’interesse verso gli obblighi normativi sulla digitalizzazione: PEC, firma digitale e fatturazione elettronica nella maggior parte dei casi dovrebbero ormai essere stati recepiti dalle imprese. Cresce invece in misura intensa il bisogno di formazione sui temi del web marketing e dell’e-commerce, probabile spia della necessità da parte delle imprese di trovare nuovi canali di contatto con i propri clienti in seguito al duro impatto delle misure di contenimento della pandemia.

Per quasi la metà delle imprese intervistate il risultato dell’introduzione delle tecnologie digitali in senso lato, quindi non solo di quelle strettamente 4.0, è stato soprattutto un aumento di efficacia e di efficienza, seguito dalla riduzione degli sprechi e dall’aumento della qualità. Le percentuali risultano più elevate per le imprese industriali, dove le tecnologie digitali risultano maggiormente diffuse, sebbene anche in questo settore una su tre dichiari di non averne introdotta nessuna; tale percentuale sale fino a due su tre nelle imprese artigiane, il settore che sembra in posizione meno avanzata lungo il percorso di trasformazione digitale.

Un aspetto fondamentale di questa transizione è la valorizzazione delle informazioni prodotte nello svolgimento della propria attività, la cui importanza non è ancora del tutto compresa dalle imprese: quasi un terzo del campione complessivo dichiara infatti di non avere nessuno strumento di preparazione e diffusione dei dati, in linea con i dati del 2019. Tale percentuale sale nell’artigianato, sebbene il dato risulti in miglioramento rispetto all’anno precedente, mentre nell’industria assume il valore più contenuto. Tra le imprese che producono reportistica prevale ancora la preparazione “manuale” rispetto ai sistemi di business intelligence, tranne nel commercio al dettaglio dove l’utilizzo di tecnologie automatizzate per l’elaborazione dei dati risulta più diffuso rispetto alla reportistica tradizionale. L’elevato grado di maturità delle imprese del commercio in fatto di analisi ed elaborazione delle informazioni, almeno di quelle che realizzano queste attività, emerge anche dalle percentuali di utilizzo dei big data e degli algoritmi di intelligenza artificiale, che risultano superiori agli altri settori; il ruolo della grande distribuzione risulta naturalmente trainante in questo ambito.

Quest’anno è stato inoltre indagato il giudizio delle imprese sulla digitalizzazione dei processi per l’attivazione dello smart working, modalità di lavoro che molte imprese hanno dovuto implementare per poter proseguire l’attività rispettando le misure di contenimento dell’epidemia. Le imprese che hanno dichiarato di non utilizzare il lavoro agile sono il 44% del totale, con punte del 66% nell’artigianato e del 56% nel commercio al dettaglio. Il 22% delle imprese esprime invece una valutazione “buona” o “eccellente” sull’implementazione di questa modalità, a fronte di un 25% che la reputa solo “sufficiente”, indice del fatto che il lavoro agile è stato nella maggior parte dei casi una scelta obbligata ma non ancora pienamente accolta e valorizzata dalle imprese. Il giudizio “tiepido” delle imprese si spiega probabilmente con la difficolta di introdurre non solo le tecnologie necessarie per consentire il lavoro da remoto, ma anche il cambiamento organizzativo e di mentalità che consenta davvero un guadagno di efficienza e una maggiore soddisfazione dei lavoratori. A livello settoriale si riscontrano valutazioni più elevate nei servizi, mentre le imprese artigiane, oltre ad essere meno propense all’utilizzo, si dimostrano anche più critiche nei giudizi.

Le nuove tecnologie digitali e la connettività diffusa” – commenta il presidente Carlo Mazzoleni – “hanno pervaso negli ultimi anni i sistemi economici internazionali, nazionali e locali, influenzando i modelli produttivi e organizzativi delle imprese. Si tratta di una trasformazione che impatta su tutte le strutture funzionali e che richiederà uno sforzo di adattamento da parte del nostro Paese per recuperare il ritardo accumulato rispetto agli altri Stati europei. Il clima di incertezza di quest’anno non ha certamente giocato a favore degli investimenti delle imprese, tuttavia la Camera di commercio prosegue con convinzione nelle sue attività di sostegno diretto e di accompagnamento nel processo di adeguamento digitale già in atto da alcuni anni.

Secondo l’indice Desi, elaborato annualmente dalla Commissione Europea analizzando cinque macro aree (connettività, competenze digitali, uso di Internet da parte dei singoli, integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese e servizi pubblici digitali), l’Italia risulta in buona posizione solo in termini di connettività, grazie all’avanzamento delle attività per il lancio del 5G. È in ritardo sul piano della digitalizzazione delle imprese e, soprattutto, dell’utilizzo di Internet e delle competenze digitali. Ciò fa sì che il livello complessivo di digitalizzazione dell’Italia è, per il quarto anno di seguito, il quartultimo in Europa prima di Romania, Grecia e Bulgaria.

Nell’ambito della trasformazione in senso digitale della società, e delle imprese in particolare, una spiccata enfasi è stata posta negli ultimi anni sul tema di Impresa 4.0 e delle tecnologie abilitanti che favoriscono quella che è stata definita una possibile “quarta rivoluzione industriale”, tanto da spingere il Governo italiano, sulla scorta di quanto fatto anche da altre nazioni europee, ad adottare un piano nazionale per incentivare gli investimenti in tal senso.

Ultima modifica: Martedì 1 Dicembre 2020
Giovedì 26 Novembre 2020

Terzo trimestre 2020: commercio al dettaglio il settore meno colpito, servizi epicentro della crisi

COMMERCIO AL DETTAGLIO - Le imprese bergamasche del commercio al dettaglio con almeno tre addetti registrano nel terzo trimestre una variazione del fatturato su base annua pari al -2,4%, una flessione molto più contenuta rispetto al -7,2% e al -17,1% conseguiti nei primi due trimestri del 2020. Il comparto si conferma inoltre, rispetto agli altri macro-settori economici indagati dalla rilevazione della Camera di commercio, come quello meno colpito dalla crisi da Covid-19.

L’indice del fatturato, dopo aver raggiunto nel secondo trimestre il livello più basso della serie storica, risale a quota 86, circa 1,5 punti sotto il valore di fine 2019. A livello lombardo il recupero è ancora più marcato con l’indice regionale che si porta a poco più di mezzo punto dai livelli pre-Covid.

Per capire meglio l’evoluzione del comparto vanno considerati gli effetti molto eterogenei che il periodo di quarantena ha avuto sugli esercizi commerciali a seconda della tipologia: i negozi alimentari, soprattutto la grande distribuzione, sono stati infatti avvantaggiati dalla crescita del lavoro agile e dalla chiusura di bar e ristoranti, elementi che hanno favorito i consumi domestici, mentre i negozi non alimentari hanno subito un duro contraccolpo, dovendo in gran parte sospendere le attività. Il risultato complessivo è stato di una perdita comunque significativa, ma di entità inferiore rispetto agli altri settori economici.

Nel terzo trimestre questa estrema variabilità settoriale si affievolisce, perché i negozi non alimentari mostrano un effetto “rimbalzo” dovuta alla piena ripresa delle attività, portandosi anch’essi in prossimità dei livelli di fatturato che avevano contraddistinto il 2019.

I prezzi mostrano un calo rispetto al trimestre precedente (-0,6%), quando difficoltà logistiche di approvvigionamento e domanda in crescita per alcune tipologie di prodotti avevano causato un rincaro dei listini.

Le valutazioni sugli ordini ai fornitori, nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente, mostrano ancora una netta prevalenza di indicazioni di diminuzione su quelle di aumento, ma il saldo evidenzia un miglioramento rispetto al secondo trimestre. Molti negozi sono d’altra parte ancora alle prese con lo smaltimento delle scorte, sebbene i giudizi sui magazzini registrino un deciso riassorbimento rispetto ai valori molto elevati dei primi due trimestri del 2020.

Circa le vendite di ipermercati e supermercati, nel terzo trimestre si evidenzia un rallentamento rispetto alla crescita intensa sperimentata nei primi due trimestri, quando supermercati e ipermercati avevano fronteggiato un significativo incremento della domanda: la variazione in valore rimane positiva, sebbene di entità inferiore rispetto alle due precedenti, mentre le quantità vendute mostrano una diminuzione. Nonostante alcuni elementi permangano nel favorire il consumo alimentare domestico (ad esempio il lavoro da remoto), il vantaggio per la grande distribuzione si è notevolmente attenuato.

L’occupazione conferma un buon grado di tenuta nonostante lo shock portato dalla pandemia: la variazione del numero di addetti nel trimestre è infatti solo lievemente negativa (-0,2%), con tassi di ingresso e uscita in crescita dopo il “congelamento” del mercato del lavoro nei primi due trimestri. Gli strumenti a sostegno dell’occupazione, da un lato, e le esigenze di manodopera da parte degli esercizi che hanno sperimentato una crescita di domanda, dall’altro, hanno permesso all’occupazione di rimanere sostanzialmente stabile; si è però esaurita la fase di crescita che aveva caratterizzato il 2019.

Le aspettative degli imprenditori per il prossimo trimestre segnalano un miglioramento diffuso, in parte dovuto al picco delle vendite di fine anno, che nel terzo trimestre genera sempre aspettative al rialzo. Il confronto con i valori registrati un anno fa mostra come i livelli di fiducia si siano riportati vicini ai livelli pre-Covid senza però raggiungerli. Naturalmente l’evoluzione della situazione epidemiologica sarà fondamentale per confermare queste speranze e determinare i risultati dell’intera annata.

SERVIZI - Il settore dei servizi si conferma l’epicentro dello shock economico portato dal Covid-19: le imprese bergamasche con almeno 3 addetti appartenenti a questo variegato e ampio settore registrano nel terzo trimestre una variazione di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019 pari al -7,5%, il divario più ampio tra i macro-settori indagati dall’indagine della Camera di commercio. Tutti i comparti evidenziano variazioni negative, ma se i servizi alle imprese e, in misura ancora maggiore, il commercio all’ingrosso si sono riportati in prossimità dei livelli pre-Covid, per i servizi di alloggio e ristorazione il calo di fatturato su base annua è ancora nell’ordine del -20%: per queste imprese anche le prospettive future restano molto incerte.

Dopo aver toccato il minimo storico nel secondo trimestre 2020, l’indice del fatturato risale a quota 87,9. La crescita congiunturale è pari a oltre il 20%, ma per raggiungere i valori di fine 2019 restano ancora 5 punti da recuperare. L’andamento dei servizi a Bergamo rispecchia da vicino la tendenza regionale, sebbene l’indice provinciale si confermi su un livello inferiore per via del divario accumulato negli anni passati.

L’andamento dei prezzi mostra una lieve accelerazione, spinta probabilmente dai costi derivanti dall’implementazione dei protocolli di sicurezza. Le prospettive future dei prezzi restano comunque orientate a un’estrema moderazione per via della debolezza della domanda.

Nonostante il deciso miglioramento rispetto alla situazione dei primi due trimestri, le imprese dei servizi che dichiarano un calo su base annua rimangono la maggioranza del campione.

A differenza degli altri macro-settori, nei servizi l’effetto dell’emergenza sanitaria ed economica sull’occupazione è stato evidente, con un calo significativo del numero di addetti dovuto probabilmente alla quota più elevata di contratti con minore protezione, come quelli a tempo determinato o a chiamata. Questa maggior reattività dell’occupazione al ciclo economico ha fatto sì che il numero di addetti tornasse lievemente ad aumentare. Al netto degli effetti stagionali la crescita occupazionale è più marcata, ma l’indice si posiziona comunque diversi punti sotto il livello pre-Covid.

Dopo il miglioramento della scorsa rilevazione, le aspettative degli imprenditori per il quarto trimestre non mostrano un ulteriore progresso. I saldi si confermano in territorio ampiamente negativo, in particolare per il fatturato e l’occupazione. Ancora una volta, sono le attività di alloggio e ristorazione a mostrare i livelli di fiducia più bassi, sebbene la rilevazione sia stata svolta nei primi 20 giorni di ottobre, prima cioè che le nuove misure di contenimento adottate per fronteggiare la seconda ondata del virus tornassero a colpire questo settore già duramente penalizzato.

“La reattività che abbiamo riscontrato nei due comparti manifatturieri – dichiara il presidente Carlo Mazzoleni – è osservabile anche nel commercio, che ha avuto buone prestazioni nel terzo trimestre; non così nei servizi, soprattutto per alloggio e la ristorazione. Ovviamente la seconda ondata lascerà un segno sui numeri del quarto trimestre. L’economia si riavvierà velocemente solo una volta eliminato il rischio sanitario. Ci sono segnali incoraggianti in questo senso, tuttavia è opportuno attenersi ad un principio di prudenza.”

Ultima modifica: Giovedì 26 Novembre 2020
Mercoledì 18 Novembre 2020

La produzione a Bergamo riprende fiato nel terzo trimestre ma non torna ancora ai livelli dell’anno scorso

I dati relativi alla produzione manifatturiera a Bergamo e provincia nel periodo luglio-settembre 2020 evidenziano un netto rimbalzo, dopo la forte caduta dei primi 6 mesi dell’anno. Rispetto al secondo trimestre, le imprese industriali con almeno 10 addetti riportano una crescita del +21,3% e quelle artigiane con almeno 3 addetti registrano un incremento di +22,7%.

Il confronto con lo stesso periodo del 2019 mostra come questo sforzo non abbia tuttavia consentito di recuperare pienamente i livelli produttivi pre-Covid-19. Le variazioni su base annua (dato tendenziale) sono infatti pari al -3,4% per l’industria e al -7,2% per l’artigianato.

INDUSTRIA - Per l’industria bergamasca l’indice della produzione risale a 103,5 dopo aver toccato il minimo storico nel secondo trimestre per gli effetti della tempesta sanitaria ed economica. Si tratta di un risultato in linea con quello regionale, anche se la Lombardia nel suo complesso mostra un differenziale negativo lievemente peggiore rispetto ai livelli dell’anno precedente (-5,2% la variazione regionale su base annua).

I settori oggetto della rilevazione mostrano però andamenti non omogenei. Per il comparto moda le variazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso sono ancora pesantemente negative, mentre gli alimentari, il chimico-farmaceutico e la gomma-plastica hanno mostrato una maggior capacità di recupero. Particolarmente reattiva si è dimostrata la meccanica bergamasca, che sembra essersi rapidamente riportata sui livelli produttivi del 2019.

La dinamica del fatturato segue abbastanza da vicino quella della produzione, sebbene con un risultato lievemente meno incoraggiante: la crescita congiunturale rispetto al secondo trimestre 2020 è pari al +20,5%, con una variazione su base annua che si attesta al -5,1%.

Anche sul fronte degli ordinativi si assiste a una ripresa vigorosa dal punto di vista congiunturale, con incrementi prossimi al 25% sia per gli ordini interni che per quelli esteri. Rispetto al livello di un anno fa, gli ordinativi provenienti dal mercato interno risultano più penalizzati (-7,6% la variazione tendenziale a fronte del -5,6% per quelli esteri), per via delle maggiori perdite subite durante la prima fase dell’emergenza sanitaria.

Prosegue invece la fase calante dell’occupazione industriale, con una diminuzione del numero di addetti nel trimestre (-0,3%): si tratta di una tendenza negativa già iniziata nel corso del 2019 e che non sembra aver risentito in misura rilevante degli effetti della pandemia, anche grazie all’ampio ricorso agli ammortizzatori sociali. La Cassa Integrazione, pur in calo rispetto alle punte del secondo trimestre, si conferma infatti su livelli molto elevati: dichiara di averla utilizzata il 41% delle imprese bergamasche del campione intervistato.

Le aspettative degli imprenditori risultano ancora condizionate dall’incertezza che riguarda l’evolversi della situazione sanitaria, con la maggior parte degli imprenditori che rimane pessimista sui risultati del quarto trimestre. Il saldo tra previsioni di crescita e diminuzione si conferma infatti negativo per tutte le variabili (produzione, domanda interna ed estera, occupazione), sebbene con valori in leggero miglioramento rispetto a quelli dell’ultima rilevazione.

ARTIGIANATO - Anche l’artigianato manifatturiero bergamasco evidenzia un rimbalzo significativo dopo la caduta della prima parte dell’anno: rispetto al punto di minimo del secondo trimestre la produzione cresce del +22,7% e il fatturato del +23,7%, ma le rispettive variazioni su base annua si attestano al -7,2% e al -4,8%, evidenziando un recupero solo parziale dei livelli pre-Covid. Per gli ordini interni il divario rispetto allo stesso periodo del 2019 è invece del -6,8%.

Si conferma la tenuta dell’occupazione delle imprese artigiane (+0,3% la variazione nel trimestre), che grazie all’allargamento dei criteri di accesso hanno fatto un massiccio utilizzo della Cassa Integrazione: il 34% delle imprese intervistate dichiara di avervi fatto ricorso, dopo il picco pari al 72% raggiunto nel secondo trimestre. Le aspettative per l’ultimo trimestre dell’anno rimangono orientate in senso prevalentemente negativo, anche se le previsioni risultano in lieve miglioramento per quanto riguarda produzione e domanda interna.

COMMERCIO E SERVIZI - Per le imprese attive nei servizi il fatturato del terzo trimestre 2020 risulta ancora distante dai livelli del 2019: la variazione su base annua è infatti pari al -7,5%. Si tratta di un recupero comunque significativo rispetto al -24,2% del secondo trimestre, sebbene per le attività di alloggio e ristorazione il divario rimanga superiore al -20%.

Il commercio al dettaglio si conferma anche nel terzo trimestre il settore meno colpito dall’emergenza sanitaria: il fatturato mostra una diminuzione contenuta su base annua (-2,4%), con una minore variabilità tra i diversi settori rispetto ai trimestri precedenti grazie alla ripresa significativa dei negozi non alimentari, che erano stati molto penalizzati durante la prima fase della pandemia. Va tuttavia sottolineato che il dato è stato rilevato prima delle recenti misure di contenimento e limitazione delle attività adottate in seguito alla seconda ondata del virus.

Commenta il presidente Carlo Mazzoleni: “La riapertura estiva di tutte le attività economiche, in seguito al venir meno delle misure più rigide di contenimento del virus, ha trovato pronte le imprese della manifattura. Hanno mostrato notevole reattività nel ripartire velocemente e cercare di recuperare, riallacciando filiere e rapporti commerciali interrotti dal lockdown. Buona la ripresa del commercio, ma la seconda ondata che stiamo vivendo sta andando a penalizzare nuovamente il settore.

Ultima modifica: Mercoledì 18 Novembre 2020
Lunedì 9 Novembre 2020

In calo i giovani Neet in provincia di Bergamo

A Bergamo nella media dell’anno 2019, secondo una recente elaborazione sui microdati provinciali Istat effettuata da Unioncamere Lombardia, i Neet, acronimo di Not in Education, Employment or Training, ovvero la classe di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano perché disoccupati o inattivi, né partecipano a corsi di istruzione o formazione professionale, sono 24.744 (9.601 maschi e 15.142 femmine). Il tasso Neet totale o tasso di incidenza sulla popolazione giovanile tra i 15 e i 29 anni registra il 14,5%.

In Lombardia i Neet sono 213.986 con un tasso di incidenza del 14,8% sull’insieme dei giovani residenti, mentre in Italia sono 2.003.104 con un tasso del 22,2%. Il territorio bergamasco, fatto salvo il maggiore margine di errore statistico sul livello provinciale, risulta sostanzialmente allineato ai dati regionali e sensibilmente distante da quelli nazionali.

Neet totali e tasso Neet, Bergamo e Lombardia 2014-2019
[Grafico 1 - Neet totali e tasso Neet, Bergamo e Lombardia, 2014-2019]

I Neet maschi perdono quasi 5 mila unità rispetto all’anno precedente. Il tasso Neet maschile si attesta sul 10,9% contro il 16,3% del 2018, di poco inferiore alla media della Lombardia (11,8%) e molto lontano dalla media nazionale (20,2%).

I Neet donne rappresentano il 61% della popolazione Neet bergamasca. Questa categoria aveva subito una forte flessione nel 2018 rispetto all’anno precedente e il miglioramento si è mantenuto nel 2019, che ha registrato solo un lieve incremento del 2%. Il tasso Neet femminile del 18,3% è allineato con quello della Lombardia (17,9%) ma sensibilmente inferiore rispetto alla media italiana (24,3%).

Nonostante i segnali positivi, il territorio bergamasco risente ancora di un ampio divario tra giovani donne e giovani uomini, che caratterizza da sempre il mercato del lavoro della provincia.

Tasso Neet maschile e femminile - giovani 15-29 anni - Bergamo 2014-2019
[Grafico 2 - Tasso Neet maschile e femminile (giovani 15-29 anni), Bergamo 2014-2019]

A confronto con le altre province lombarde, il tasso Neet femminile colloca Bergamo in quinta posizione per tasso di incidenza più elevato dopo Varese, Lodi, Cremona e Monza e Brianza.

Tasso Neet femminile - giovani 15-29 anni, 2019
[Grafico 3 - Tasso Neet femminile (Giovani 15-29 anni), 2019]

Significativamente migliore, invece, la situazione bergamasca per il tasso Neet maschile, che assicura a Bergamo il terzo posto tra le province lombarde con minore Neet rate maschile, insieme a Brescia (9,3%) e Sondrio (7,7%). A livello di tasso Neet complessivo, invece, Bergamo risulta tra le prime cinque province con tasso di incidenza totale più basso insieme a Lecco (13,9%), Milano (13,5%), Brescia (13,4%) e Sondrio (10,6%).

Interessante notare che, tra le regioni italiane a forte industrializzazione, la Lombardia si colloca al secondo posto per tasso Neet totale dopo il Piemonte (16,6%), mentre Emilia-Romagna (14,3%) e Veneto (12,4%) registrano tassi inferiori.

Nei primi due trimestri del 2020, secondo gli ultimi microdati provinciali Istat, a Bergamo i Neet totali e il tasso Neet risultano aumentati lievemente rispetto ai valori nei periodi corrispondenti dell’anno 2019. Questo perché la situazione del mercato del lavoro nel 2020, a causa della diffusione della pandemia da Covid-19 e delle relative misure di contenimento, ha influito notevolmente anche sui giovani Neet. Il primo semestre dell’anno, infatti, ha visto un calo della disoccupazione, dovuto da un lato agli ammortizzatori sociali e dall’altro al fenomeno dello scoraggiamento che ha portato molti giovani a smettere di cercare una professione e a rientrare, quindi, nella categoria dei Neet.

Tasso Neet totale - giovani 15-29 anni, Bergamo 2014-2019
[Grafico 4 - Tasso Neet totale (giovani 15-29), Bergamo 2014-2020]

Commenta i risultati il presidente Carlo Mazzoleni: "Il fenomeno Neet deve essere affrontato con tutti gli strumenti disponibili, perché il rischio è quello di perdere una generazione nel mondo del lavoro. Il calo del fenomeno Neet riscontrato a Bergamo nel 2019 è un segnale incoraggiante, ma non dobbiamo sottovalutare il quadro dell’anno corrente, che ci segnala come i giovani stiano subendo più di altre fasce d’età la crisi economica da Covid-19, e ci ricorda la necessità di continuare a investire sulla formazione, l’orientamento, l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendistato, e la promozione della nuova imprenditorialità."

Ultima modifica: Lunedì 9 Novembre 2020
Venerdì 30 Ottobre 2020

Calano le imprese attive nelle attività di alloggio e ristorazione

Il terzo trimestre 2020 si chiude con 94.166 imprese registrate in provincia di Bergamo. Lo stock delle imprese attive (83.978) è in calo tendenziale (-553 posizioni pari al -0,7% su base annua) dalla metà del 2012. Nel periodo considerato si sono avute 1.002 nuove iscrizioni (+4% su base annua) e 840 cessazioni (-30,1%), con un saldo positivo di +162 unità (-240 nel corrispondente periodo del 2019).

Le imprese attive aumentano su base tendenziale tra le società di capitale (+1,3%). Diminuiscono le società di persone (-2,8%), le imprese individuali (-1,0%) e le altre forme giuridiche (-1,8%), in prevalenza cooperative.

Tra i settori produttivi, la contrazione delle imprese attive rispetto a un anno fa riguarda il commercio all'ingrosso e al dettaglio (-389 pari al -2,0%), le attività manifatturiere (-173 pari al -1,6%, di cui 151 artigiane), i servizi di alloggio e ristorazione (-100 pari a -1,7%), agricoltura, silvicoltura e pesca (-48 pari al -1,0%), costruzioni (-36 pari al -0.2%), trasporto e magazzinaggio (-28 pari a 1,3%) e le attività di intrattenimento (-4 pari a +0,4%).

Si registrano aumenti prevalentemente tra i servizi di supporto alle imprese (+103 pari a +3,5%), le attività professionali (+77, pari al +2,0%), le attività finanziarie e assicurative (28, paria a +1,2%), le attività immobiliari (+26 pari a +0,4%), la sanità e l'assistenza sociale (+12, pari a +1,9%) e l'istruzione (+10 pari al +2,3%).

Il settore artigiano, con 30.152 imprese a fine settembre 2020, registra una riduzione del -0,9% delle unità registrate su base annua. Lo stock delle posizioni attive registra una riduzione di 265 unità rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Le iscrizioni (+335) diminuiscono del 2,6% su base annua mentre aumentano leggermente le cessazioni (+331, ovvero +0,3%). Per questo trimestre si registra comunque un saldo positivo tra iscritte e cessate: +4 unità, contro quello del secondo trimestre dell'anno precedente, +14 unità.

Lo spaccato per genere, età e nazionalità delle posizioni attive evidenzia su base annua una flessione (-2,3%) delle imprese giovanili, un leggero aumento delle imprese straniere (+1,7%). In leggera diminuzione le imprese femminili (-0,5%).

Diminuite le procedure concorsuali di fallimento, scioglimento e messa in liquidazione: 250 nel terzo trimestre del 2020, in confronto alle 309 del corrispondente trimestre del 2019.

L'importazione periodica nel Registro imprese dei dati occupazionali comunicati a INPS in base alla localizzazione dell'impresa consente di stimare, con la cautela necessaria di fronte a dati di origine amministrativa, gli addetti, cioè le posizioni lavorative presenti nel territorio, al netto del settore pubblico e delle attività dei liberi professionisti.

Le 107 mila unità locali delle imprese attive, diminuite rispetto a un anno fa, impiegano 398.630 addetti. Rispetto allo stesso periodo del 2019 si registrerebbe pertanto una riduzione di -2.955 addetti, con una variazione del -0,7%.

Incrementi si riscontrano nei servizi di sanità e assistenza sociale (+1.283), nelle costruzioni (+1.249) e nelle attività manifatturiere (+245).

Rilevanti perdite di addetti su base annua si rileva nei servizi di noleggio, agenzie di viaggio e supporto alle imprese (-2.164), nel commercio all'ingrosso e al dettaglio (-1.264), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (-1.191), nelle attività di intrattenimento e divertimento (-529) e nelle attività finanziarie e assicurative.

Commenta il presidente Mazzoleni: "Nel periodo considerato resta positivo il saldo tra aperture e chiusure, ma negli ultimi due trimestri disponibili l'anagrafe camerale sembra evidenziare l'inizio di un'inversione di tendenza nella consistenza delle imprese attive per i servizi di alloggio e ristorazione. Purtroppo è altamente probabile che sul settore, già duramente colpito dalla crisi del turismo conseguente alla pandemia, peseranno anche le recenti misure di contenimento del Covid-19."

Ultima modifica: Venerdì 6 Novembre 2020
Mercoledì 30 Settembre 2020

L’agricoltura lombarda soffre per il Covid ma meno di altri settori. Esportazioni bergamasche nel negativo

Nella regione Lombardia e in provincia di Bergamo anche il settore agricolo ha risentito molto della diffusione del Covid-19 e dalle misure adottate per il suo contenimento, ma non nella misura degli altri comparti produttivi. Questa in estrema sintesi il risultato dello studio semestrale sulla congiuntura agricola lombarda condotto da Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia in collaborazione con le associazioni agricole, presentato stamattina. Lo studio evidenzia infatti nel primo semestre dell’anno la natura anti-ciclica dell’agro-alimentare che, ancora una volta, ha dimostrato una tenuta maggiore nelle circostanze di recessione economica da Covid-19.

L’andamento dell’agricoltura è dunque negativo, ma meno rispetto ad altri settori come l’industria, con un indice del fatturato regionale cumulato che registra una forte flessione, specialmente nel secondo trimestre. Anche a livello nazionale l’Istat stima che l’agricoltura abbia contribuito alla caduta del PIL per il -2,3% nel primo trimestre e per il -4,9% nel secondo trimestre.

Le esportazioni dell’agro-alimentare nella provincia di Bergamo crollano del 2% nel semestre, in decisa controtendenza rispetto alla Lombardia, che registra invece una crescita del +2%. A pesare sul risultato negativo nel bergamasco è l’industria alimentare e delle bevande, che rileva un -6% contro il +16% del 2019. Nella provincia di Bergamo, tuttavia, l’esportazione dei prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’acquacoltura ha valori molto positivi (+24%), in netta contrapposizione con la media regionale (-0,2%).

L’indice di costo dei mezzi di produzione riscontra un calo significativo, specialmente nella zootecnia e, seppure in misura inferiore, nelle coltivazioni agricole, a causa della diminuzione delle spese energetiche nei mesi di confinamento.

Interessante notare che i risultati di ciascun comparto sono stati molto differenti e influenzati dallo specifico canale cui sono destinati i prodotti finiti. Nel dettaglio si sono evidenziate le seguenti dinamiche settoriali:

  • A livello regionale e provinciale, il settore lattiero-caseario ha registrato un crollo nel primo semestre, interrompendo l’andamento positivo riscontrato l’anno precedente. A causare questo calo è stata in particolare la significativa contrazione della domanda interna di latte fresco e di formaggi DOP, dovuta anche alla chiusura del canale Horeca. Viceversa, l’offerta stabile o, in molti casi, in crescita ha causato la contrazione dei prezzi.
    Il propagarsi dell’epidemia nel mondo ha avuto, inoltre, effetti pesantemente negativi anche sulla domanda estera. Nella regione Lombardia, che rappresenta il 44% del valore nazionale, e a Bergamo le consegne del latte hanno avuto un andamento molto positivo. In provincia si è registrato un aumento del 2,9%, comunque al di sotto della media lombarda (+4,4%). L’aumento della produzione segnala sicuramente una buona performance degli allevamenti lombardi e bergamaschi. Ottimi, in particolare, i dati nel territorio bergamasco dato che il tasso contenuto di crescita previene eccessi di offerta rendendo stabili i prezzi.
    I valori tendenziali della produzione di formaggi DOP come il Grana Padano, invece, hanno riscontrato un eccezionale +9,2% in provincia di Bergamo contro un più modesto +4,3% in Lombardia.
  • Il comparto delle carni bovine in Lombardia e nella provincia di Bergamo ha risentito molto della crisi registrando un nuovo crollo dei prezzi all’origine, a seguito dell’effetto congiunto della contrazione già strutturale della domanda interna e dell’emergenza Covid-19, che non solo ha cambiato le abitudini dei consumatori finali, ma ha comportato la chiusura del canale Horeca.
  • Calo significativo anche per le carni suine, tra i più pregiudicati in Lombardia durante il primo semestre. Dopo un 2019 molto positivo, che aveva visto una crescita delle quotazioni, i prezzi sono crollati a causa della chiusura degli esercizi commerciali e della ristorazione.
  • Il settore cerealicolo ha avuto un andamento debolmente positivo nei primi due trimestri, anche se i risultati sono stati differenti in base alla tipologia di cereale.
  • Il settore vitivinicolo nel primo trimestre raggiunge i livelli del primo semestre del 2019 ma registra un calo significativo nel secondo trimestre a seguito della chiusura del canale Horeca nel periodo di marzo e aprile e delle restrizioni poste alla ristorazione a maggio e giugno.

Sul fronte occupazionale i segnali sono positivi per il primo trimestre (ultimo dato disponibile), che ha registrato in Lombardia un aumento degli addetti (6,1%) alle unità locali delle imprese agricole. Nella provincia di Bergamo, invece, il dato è cresciuto del +7,5%, ben al di sopra della media lombarda, e allineato alle ottime perfomance delle province di Sondrio (+13,6%) e di Mantova (+10,6%). I dati mensili del Sistal di Regione Lombardia, basati sulle comunicazioni obbligatorie relative a rapporti di lavoro dipendente nella provincia, offrono un quadro più preciso. In agricoltura le assunzioni sono rimaste stabili fino a maggio ma segnano una flessione negativa nel mese di giugno che si approfondisce con luglio. Le cessazioni nel settore, invece, sono in aumento, con picchi nei mesi di gennaio, febbraio e aprile.

Il numero di imprese operanti nel settore agricolo continua a calare in modo costante rispetto ai semestri precedenti. Questo andamento però non risulta tanto influenzato dall’emergenza Covid-19 quanto, invece, dalla peculiare struttura del tessuto imprenditoriale agricolo lombardo. In Lombardia si registra una variazione negativa del -1,9% e del -2,1%, rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre. Nella provincia di Bergamo si riscontrano risultati leggermente migliori rispetto alla media regionale, con un calo del -0,3% nel primo trimestre e del -1,1% nel secondo.

Il quadro che traccia lo studio congiunturale è di un primo semestre 2020 negativo per il settore agricolo della Lombardia, anche se in misura molto più contenuta rispetto ad altri comparti. Detto ciò, l’emergenza sembra aver travolto soprattutto il comparto della zootecnia, il cuore dell’agro-alimentare lombardo, e il lattiero-caseario, causando una contrazione significativa dell’indice trimestrale dei prezzi all’origine. La tiepida ripresa iniziata negli ultimi mesi del primo semestre e nei mesi successivi al confinamento fa sperare in un miglioramento per il prossimo semestre. L’incognita principale sul futuro del settore è però una nuova diffusione del Covid-19 in Italia e all’estero.

Ultima modifica: Mercoledì 7 Ottobre 2020
Giovedì 10 Settembre 2020

Il forte calo del mese di aprile affossa le esportazioni nel secondo trimestre

Il valore delle esportazioni di Bergamo nel trimestre è sceso a 3.066 milioni di euro(‑26,7% su base annua, contro variazioni del -26,9% in Lombardia e del -27,8% in Italia).

Nel trimestre le importazioni sono state pari a 1.809 milioni (-26,6% tendenziale contro -24,8% in Lombardia e -28,4% in Italia).

Il saldo trimestrale della bilancia commerciale di Bergamo è positivo per 1.258 milioni, inferiore al saldo del trimestre corrispondente dell’anno scorso (1.716 milioni).

Le esportazioni bergamasche registrano un peggioramento rispetto ai dati dell’ultimo trimestre. Il calo provinciale è in linea con quello regionale, il quale, come nel trimestre precedente, è più accentuato rispetto al Nord-est (-23,2%) e lievemente anche rispetto Nord-ovest (‑26,6%).

In calo tutti i settori trainanti dell’export provinciale: macchinari (759 milioni, ‑25,9%), prodotti chimici (473 milioni, -20,7%), metalli di base (427 milioni, -26,8%), articoli in gomma (302 milioni, ‑24%), mezzi di trasporto (247 milioni, -34,5%) e apparecchi elettrici (191 milioni, -29,4%), oltre al tessile e abbigliamento (142 milioni, -43,8%). La diminuzione complessiva del valore delle esportazioni è spiegata principalmente dalla variazione delle citate categorie merceologiche, che danno conto del 89% del totale esportato nel periodo.

Nel trimestre in esame l’export di Bergamo per area geografica di destinazione registra un calo tendenziale verso l’area UE 27 post Brexit (-24,2%), nonché verso l’Eurozona (-24,4%). I mercati Extra UE sono in calo ancora maggiore (‑30%), dovuto principalmente all’effetto combinato di una diminuzione verso i Paesi europei non UE, America settentrionale e Asia orientale.

In forte discesa le esportazioni verso i primi dieci maggiori paesi di destinazione delle merci bergamasche, che congiuntamente rappresentano il 61% del totale trimestrale esportato. Valori fortemente negativi per i primi cinque: Germania (-20,3%), Francia (‑27,4%), Stati Uniti (-31,7%), Spagna (‑36,8%) e Regno Unito (-32,7%).

A partire dal febbraio 2020 il Regno Unito è uscito dall'Unione Europea. Per assicurare il confronto con l’anno precedente si è utilizzato l’aggregato UE27, senza il Regno Unito. Analogamente sono stati ricalcolati gli aggregati Paesi europei non UE e Paesi extra UE.

L’Istat segnala infine che, nel contesto dell’emergenza Covid-19 la rilevazione Intrastat ha registrato un calo delle dichiarazioni pervenute per i mesi di febbraio, marzo e aprile. I dati potranno essere pertanto oggetto di successiva revisione.

Commenta il presidente Mazzoleni:Se nel primo trimestre la diminuzione bergamasca era doppia rispetto a quella della Lombardia, ora osserviamo un allineamento tra i valori provinciali e quelli regionali, purtroppo pesantemente negativi. Bergamo occupa il posto di sesta provincia per diminuzione delle esportazioni, dopo Milano, Torino, Firenze, Brescia e Vicenza. Ce lo aspettavamo, dato che aprile è stato il mese con il maggior calo. Tuttavia, per l’Istat a luglio e agosto è proseguita la fase di ripresa, anche occupazionale, e le previsioni puntano a un rimbalzo del Pil nel terzo trimestre. Confido che anche le esportazioni si misureranno con numeri ben diversi nel prossimo periodo”.

Ultima modifica: Giovedì 10 Settembre 2020
Giovedì 20 Agosto 2020

Credito e finanza aziendale nei tempi del Covid-19

Lo studio congiunturale realizzato dalla Camera di commercio con riferimento al secondo trimestre dell’anno ha approfondito il tema della finanza aziendale. Alla fine del citato periodo l’impatto dell’emergenza sanitaria sulla situazione finanziaria viene giudicato ancora grave dagli imprenditori bergamaschi, ma in attenuazione rispetto alle valutazioni fatte dopo i primi tre mesi dell’anno: in tutti i settori diminuisce infatti la quota di imprese che pensa di non riuscire a recuperare le perdite accumulate durante il confinamento, percentuale che si attesta intorno al 25% con l’eccezione dell’industria, dove tale valore scende al 15%.

Allo stesso tempo si allarga la fetta di imprese che afferma di non avere avuto effetti negativi, passando dal 5% al 10% nell’industria, dal 7% all’11% nell’artigianato e dal 9% al 15% nei servizi. Solo nel commercio al dettaglio si assiste a una riduzione della quota di imprese “immuni” dagli effetti del Covid-19 (dal 31% al 26%). Va però sottolineato che, da un lato, la percentuale rimane superiore agli altri settori e che, dall’altro, tale riduzione si accompagna a una significativa crescita delle imprese che pensano di recuperare le perdite in tempi più o meno brevi.

Nonostante questi primi segnali positivi, lo shock causato dalla pandemia sulla situazione finanziaria delle imprese rimane di eccezionale gravità, mettendo in difficoltà gran parte delle realtà imprenditoriali non solo per la riduzione di fatturato e ordini, ma anche per la necessità di continuare a sostenere costi. Le imprese della provincia hanno fatto fronte all’emergenza  accrescendo l’indebitamento, come dimostra la brusca discesa della percentuale di chi dichiara un rapporto tra mezzi terzi e mezzi propri inferiore a 1. Il calo rispetto al 2019 è significativo per tutti i settori, in particolare per commercio e servizi, e porta queste percentuali vicine ai valori registrati nel 2014, certificando così l’interruzione di quel processo di rafforzamento patrimoniale e riduzione della leva finanziaria che ha caratterizzato gli ultimi anni e che ha comunque consentito alle imprese di affrontare la crisi del 2020 da una posizione finanziaria più solida.

Le principali fonti di finanziamento a cui le imprese bergamasche hanno fatto ricorso nell’ultimo anno si confermano l’autofinanziamento e il credito bancario, anche se con percentuali generalmente in calo rispetto al 2019. In particolare risulta in diminuzione l’autofinanziamento, in linea con la tendenza alla crescita dell’indebitamento: la quota di imprese che si finanziano con risorse interne cala moderatamente nell’industria, ma in maniera significativa nell’artigianato, nel commercio al dettaglio e nei servizi. Aumenta invece in maniera rilevante l’utilizzo di contributi pubblici, anche grazie alla mole di strumenti messi in campo dalle istituzioni per sostenere le imprese.

Anche il credito commerciale ha rappresentato un’ancora di salvezza per molte imprese, che hanno a loro volta subito gli effetti negativi dei ritardi di pagamento dei loro clienti: il ricorso a questa forma di finanziamento è cresciuto in tutti i settori con l’eccezione dell’industria, raggiungendo il 16% nei servizi e nel commercio al dettaglio. Le previsioni degli imprenditori per i prossimi sei mesi confermano queste tendenze, indicando un minor ricorso alle fonti tradizionali dell’autofinanziamento e del credito bancario e un’ulteriore crescita di contributi pubblici e credito commerciale.

Il bisogno crescente di liquidità da parte delle imprese emerge chiaramente come spinta preponderante per la richiesta di credito, in netta crescita rispetto al 2019: se l’anno precedente tale motivazione raccoglieva circa il 40% delle risposte ora rappresenta circa il 60% dei casi. I finanziamenti destinati a investimenti produttivi rimangono però al secondo posto, registrando un calo non eccessivo rispetto al 2019 e addirittura una crescita nel settore dei servizi, a testimoniare la volontà delle imprese di ricominciare a pianificare il futuro. La dimensione di impresa si conferma una variabile fondamentale nel determinare la propensione all’investimento, come emerge dal valore significativamente superiore registrato nell’industria. Aumenta inoltre la quota di imprese che ha chiesto finanziamenti per consolidare o ristrutturare un debito già esistente.

Il tema della liquidità ha rappresentato il problema più urgente nel pieno dell’emergenza sanitaria, quando la riduzione, o l’interruzione, dell’attività ha reso difficile sostenere le spese correnti per una percentuale di imprese bergamasche comprese tra il 31% dell’industria e il 50% dell’artigianato. Il canale di trasmissione principale della crisi di liquidità sono stati i ritardi di pagamento dei clienti, soprattutto nei servizi e nell’industria e poi nell’artigianato. Nel commercio al dettaglio hanno pesato maggiormente i costi di adeguamento ai protocolli di sicurezza e le spese di magazzino.

Nonostante le istituzioni abbiano potenziato gli strumenti di garanzia di accesso ai prestiti e abbiano cercato di snellire le procedure burocratiche per accedere ai finanziamenti, i giudizi espressi sulle condizioni di accesso al credito evidenziano una maggiore insoddisfazione rispetto al 2019. Il 45% delle imprese industriali, che beneficiano di una maggiore dimensione aziendale, non riscontra criticità, ma negli altri settori sono in questo caso solo un terzo circa dei rispondenti.

L’aspetto più critico è quello legato alla tempestività, elemento cruciale quando scarseggia la liquidità: solo due imprese su tre giudicano adeguati i tempi per l’accesso al credito, con un sensibile peggioramento denunciato dai servizi e dal commercio al dettaglio. Giudizi severi anche per le condizioni accessorie, sebbene con un deterioramento meno marcato rispetto al 2019.

Commenta questi risultati il presidente Carlo Mazzoleni: “Le condizioni eccezionali di questo primo semestre dell’anno hanno lasciato traccia anche nella finanza aziendale. Le imprese hanno reagito allo shock cogliendo le opportunità messe a disposizione dalle istituzioni. Dalle risposte raccolte si coglie un bisogno di credito per sostenere le spese correnti, cui fanno fronte criticità legate alle procedure di accesso. Per altro verso si intravede un segnale incoraggiante da chi prevede orizzonti più corti per il recupero delle perdite rispetto alle prime valutazioni.

Ultima modifica: Giovedì 20 Agosto 2020