Mercoledì 18 Dicembre 2024
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Negli ultimi tre mesi del 2020 la produzione manifatturiera in provincia di Bergamo ha continuato a crescere, sebbene con minore velocità per via del nuovo peggioramento della situazione sanitaria, dopo il crollo della prima metà dell’anno e il recupero intenso, seppur parziale, del terzo trimestre. Le imprese industriali con almeno 10 addetti mostrano una variazione del +1,1%, mentre quelle artigiane con almeno 3 addetti evidenziano una ripresa più marcata, pari al +5,7%. Nonostante questi risultati positivi, in controtendenza con il dato nazionale dove la produzione ha mostrato un calo nel quarto trimestre, i livelli pre-Covid non sono ancora stati raggiunti: la variazione rispetto all’analogo periodo del 2019 è pari al -2,5% per l’industria e al -2,2% per l’artigianato. Il risultato medio del 2020 registra quindi una perdita pesante per il manifatturiero bergamasco, penalizzando in questo caso più le imprese artigiane (-11,3% a Bergamo, -11,9% in Lombardia), colpite duramente nella prima parte dell’anno, rispetto a quelle industriali (‑9,2% a Bergamo, -9,8% in Lombardia).
Per l’industria bergamasca l’indice della produzione, calcolato ponendo pari a 100 il livello del 2010, dopo aver raggiunto il minimo storico nel secondo trimestre (85,2), recupera nella seconda metà dell’anno attestandosi a quota 104,3.
Nel 2020 tutti i settori hanno registrato una contrazione, particolarmente accentuata per quelli della filiera della moda, che archiviano perdite superiori al 20%. La meccanica, il comparto più rilevante in termini dimensionali, la gomma-plastica e l’industria alimentare registrano flessioni inferiori alla media, mentre le perdite più ridotte sono evidenziate dalla chimica-farmaceutica.
La variazione media annua del fatturato (-9,2%) risulta identica a quella della produzione, sebbene l’incremento registrato nel quarto trimestre sia in questo caso più consistente (+3,3% rispetto al trimestre precedente). Ancora più marcata la crescita registrata negli ultimi tre mesi dell’anno dagli ordini interni (+5,9%) e, soprattutto, da quelli esteri (+11,6%), lasciando sperare in un possibile rafforzamento della ripresa ad inizio 2021.
Il saldo del numero di addetti tra inizio e fine periodo risulta lievemente negativo (-0,1%), con tassi di ingresso e uscita in crescita ma su livelli decisamente inferiori all’analogo periodo del 2019. Le imprese industriali che hanno fatto ricorso alla CIG nel quarto trimestre del 2020 sono il 31% del campione, un valore ancora molto elevato ma in fase di normalizzazione dopo il boom dei primi due trimestri.
Le aspettative degli imprenditori evidenziano una crescita dei livelli di fiducia, confermando il percorso di miglioramento manifestato nel corso dell’anno dopo i valori negativi record registrati nel primo trimestre. Per produzione (+8,5%), domanda estera (+6,5%) e occupazione (+2,6%) i saldi tra previsione di crescita e di diminuzione svoltano in territorio positivo, mentre prevalgono ancora le indicazioni pessimiste, seppur di misura contenuta, sulla domanda interna (-1,7%).
L’indice della produzione dell’artigianato manifatturiero bergamasco mostra nel quarto trimestre una crescita ancora significativa, raggiungendo quota 101,8, a differenza di quanto avviene in Lombardia dove il valore rimane sostanzialmente stabile. Fatturato (-11,3%) e ordini interni (-11,4%) mostrano flessioni annue allineate a quella produttiva, sebbene per queste variabili il recupero evidenziato nel quarto trimestre risulti meno marcato. La variazione del numero di addetti torna negativa negli ultimi tre mesi dell’anno, con un saldo pari a -0,2% dovuto soprattutto alla crescita del tasso di uscita (1,7%): la sostanziale tenuta dello stock occupazionale nel 2020 è dovuta anche all’allargamento dei criteri di accesso alla Cassa Integrazione, che nel quarto trimestre è stata utilizzata dal 28% delle imprese artigiane. Nonostante i risultati complessivamente positivi degli ultimi tre mesi dell’anno, le aspettative degli imprenditori evidenziano miglioramenti solo marginali rispetto ai livelli di fiducia del terzo trimestre, con saldi tra previsioni di aumento e diminuzione che rimangono negativi per tutte le variabili.
Nei servizi la variazione tendenziale del fatturato delle imprese bergamasche con almeno 3 addetti nel quarto trimestre è pari al -6,2%: nonostante il dato rappresenti un lieve miglioramento se confrontato con i tre mesi precedenti, si tratta del divario più elevato rispetto ai livelli di attività del 2019 tra tutti i macro-settori dell’economia provinciale. In media annua il calo di fatturato raggiunge il -12,7%.
Nel quarto trimestre torna ad aggravarsi la situazione delle imprese con almeno 3 addetti attive nel commercio al dettaglio in provincia di Bergamo: il calo di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019 è pari al -5,4%, in peggioramento rispetto al -2,4% registrato nel terzo trimestre. Il 2020 nel suo complesso archivia una perdita del -8,1%.
Commenta così questa situazione il presidente Carlo Mazzoleni: “Analizzare la manifattura nel suo complesso comporta necessariamente appiattire le differenze. Alcuni settori hanno avuto prestazioni sorprendenti, date le circostanze, altri sono rimasti ancora in pesante crisi. Nonostante la provincia bergamasca sia stata tra i territori più colpiti dalla pandemia, la sua produzione industriale ha avuto comunque un risultato annuo migliore di quello regionale. L’artigianato mostra risultati più negativi, sebbene ancora una volta migliori che a livello lombardo. Guardando il futuro, la crescita degli ordini e dei livelli di fiducia ci permettono di confidare nelle nostre capacità di recupero in questo nuovo anno. Determinanti saranno il contenimento dell’epidemia, la campagna vaccinale e la capacità del nuovo governo Draghi di dare indirizzo e rapida concretezza al Recovery Plan.”
In dieci anni il numero totale di imprese attive iscritte al Registro imprese della Camera di commercio di Bergamo è passato da 86.921 della fine del 2011 a 83.744 dell’ultimo 31 dicembre 2020: nel periodo considerato si è prodotto quindi un calo di 3177 unità. Non si tratta di una sorpresa perché i rapporti sull’andamento delle iscrizioni elaborati trimestralmente dalla Camera di commercio hanno osservato il fenomeno nel tempo, mantenendo costante l’annotazione che lo stock delle imprese attive è in calo tendenziale dalla metà del 2012.
La diminuzione si è concentrata per intensità nei primi tre e negli ultimi tre anni del decennio, in cui il numero medio del calo si è attestato su 450 unità per anno. Il calo maggiore si è verificato nel 2013 rispetto all’anno precedente con una perdita di 539 imprese. Gli anni centrali 2015-2017 sono invece quelli in cui la diminuzione ha rallentato al passo medio di 157 imprese in meno per ciascun anno, con un minimo di 82 imprese in meno nell’anno 2015.
Se si analizzano le consistenze delle imprese classificate per settore di appartenenza, si nota che la variazione non ha interessato tutti allo stesso modo. Solo in leggera diminuzione il settore primario che, per numero di imprese attive, è passato dal 6% al 5,8% del totale. Per quanto riguarda il manifatturiero, alla fine del 2011 vi apparteneva il 37,7% delle imprese attive, mentre a fine 2020 era inquadrato in questo settore il 33,7%. Stabile il commercio intorno al 22,5% all’inizio e alla fine del periodo, con un rialzo temporaneo di quasi un punto percentuale negli anni centrali del decennio.
In salita i servizi, le cui imprese sono passate con una crescita costante dal 33,7% al 38,1% sul totale delle imprese attive. All’interno del terziario, le imprese di trasporto sono state sostanzialmente stabili intorno al 2,5% del totale, l’alloggio e la ristorazione ha registrato una lieve crescita dal 6,2% al 6,9%, i servizi alle imprese sono passati dal 15,6% al 18,1%, le attività finanziarie e assicurative sono cresciute lievemente dal 2,3% al 2,8%, mentre i servizi alla persona sono lievitati di un punto, passando dal 6,9% al 7,9%.
Commenta il presidente Carlo Mazzoleni: “Notiamo dai dati decennali del nostro Registro imprese un fenomeno, che procede a passo lento ma inesorabile, di concentrazione delle imprese. Le imprese individuali, oggi ancora la fetta più rilevante tra le forme giuridiche d’impresa in provincia di Bergamo, cedono lentamente il passo a forme più strutturate e solide di azienda, ossia la società di capitali. Questo fenomeno è particolarmente evidente nella manifattura. Un’altra tendenza è la terziarizzazione dell’economia, che si legge nel crescente numero di imprese appartenenti al settore dei servizi rispetto a quelle del manifatturiero.”
Il quarto trimestre 2020 si chiude con 94.008 sedi di imprese registrate in provincia di Bergamo. Lo stock delle imprese attive (83.791) è in calo tendenziale (-402 posizioni pari al -0,5% su base annua) dalla metà del 2012. Nel periodo considerato si sono avute 1.134 nuove iscrizioni (-2,7% su base annua) e 1.300 cessazioni (-4,3% su base annua), con un saldo negativo di -166 unità (-193 nel corrispondente periodo del 2019).
Le imprese attive aumentano su base tendenziale tra le società di capitale (+1,6%). Diminuiscono le società di persone (-2,8%), le imprese individuali (-0,8%) e le altre forme giuridiche (-2,3%), in prevalenza cooperative.
Tra i settori produttivi, la contrazione delle imprese attive rispetto a un anno fa riguarda il commercio all’ingrosso e al dettaglio (-279 pari al -1,5%), le attività manifatturiere (-199 pari al ‑1,9%, di cui 151 artigiane), i servizi di alloggio e ristorazione (-84 pari a -1,4%), le costruzioni (‑57, pari a -0,3%), il trasporto e magazzinaggio (‑41 pari a ‑1,9%), l’agricoltura, silvicoltura e pesca (-37 pari al -0,8%), le attività di intrattenimento (-5 pari a -0,5%), la fornitura di energia elettrica e gas (-2, pari a -1,2%) e l’estrazione di minerali (-1, pari a -2,1%).
Si registrano aumenti tra i servizi di supporto alle imprese (+104 pari a +3,5%), le attività professionali (+91, pari al +2,4%), le attività finanziarie e assicurative (+42, paria a +1,8%), le attività immobiliari (+17 pari a +0,3%), i servizi di informazione e comunicazione (+16, pari a +0,8%), l’istruzione (+10, pari a +2,3%), le altre attività di servizi (+10 pari a 0,2%), la sanità e l’assistenza sociale (+8 pari al +1,3%) e la fornitura di acqua e gestione rifiuti (+4, pari al 2,1%).
Il settore artigiano, con 30.091 imprese a fine dicembre 2020, registra una riduzione dello 0,6% delle unità registrate su base annua. Lo stock delle posizioni attive diminuisce di 177 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le iscrizioni (344) calano del 7,3% su base annua mentre le cessazioni (405) registrano un rallentamento del 22%. Per questo trimestre si registra un saldo negativo tra iscritte e cessate: -61 unità, in miglioramento rispetto a quello dello stesso trimestre dell’anno precedente, che registrava -148 unità.
Lo spaccato per genere, età e nazionalità delle posizioni attive evidenzia su base annua una flessione (-1,7%) delle imprese giovanili, un leggero aumento delle imprese straniere (+1,8%). In leggera diminuzione le imprese femminili (-0,2%).
Diminuite le procedure concorsuali di fallimento, scioglimento e messa in liquidazione: 306 nel quarto trimestre del 2020, in confronto alle 672 del corrispondente trimestre del 2019.
L’importazione periodica nel Registro imprese dei dati occupazionali comunicati a INPS in base alla localizzazione dell’impresa consente di stimare, con la cautela necessaria di fronte a dati di origine amministrativa, gli addetti, cioè le posizioni lavorative presenti nel territorio per impresa, al netto del settore pubblico e delle attività dei liberi professionisti.
Le 107 mila attive tra sedi e unità locali, diminuite rispetto a un anno fa, impiegano 394.784 addetti. Rispetto allo stesso periodo del 2019 si registra pertanto una diminuzione di 4.184 addetti, con una variazione del -1,0%.
Incrementi si riscontrano nelle costruzioni (+4.144), nelle attività manifatturiere (+3.712) e nei servizi di sanità e assistenza sociale (+1.675),
Rilevanti perdite di addetti su base annua si rilevano nei servizi di noleggio, agenzie di viaggio e supporto alle imprese (-1.914), nelle attività di intrattenimento e divertimento (-506), nell’agricoltura, silvicoltura e pesca (-217) e nelle attività finanziarie e assicurative (-122).
Commenta questi dati il presidente Carlo Mazzoleni: “Ritroviamo nei numeri delle iscrizioni al registro delle imprese da ottobre a dicembre 2020 le tendenze che già osserviamo da anni. A fronte di una contrazione relativamente limitata, si evidenzia il calo tendenziale delle imprese attive, con l’aumento delle imprese di capitali a scapito delle altre forme d’impresa, ossia società di persone, ditte individuali e altre forme giuridiche. I numeri degli addetti, riferiti al trimestre precedente – da considerare con cautela, trattandosi di dati di origine amministrativa – mostrerebbero la salute delle costruzioni e della manifattura e, come ci si aspettava, emorragie nei settori più colpiti dalle chiusure forzate, come i servizi di noleggio, agenzie viaggio e supporto alle imprese e le attività di intrattenimento e divertimento.”
Il saldo trimestrale della bilancia commerciale di Bergamo è positivo per 1.614 milioni, inferiore del 6,1% al saldo del trimestre corrispondente dell’anno scorso (1.719 milioni). Il valore delle esportazioni di Bergamo nel trimestre totalizzano 3.585 milioni di euro (‑9,2% su base annua contro variazioni del -7,9% in Lombardia e del -4,9% in Italia). Le importazioni sono state pari a 1.971 milioni (-11,7% tendenziale contro -10,7% in Lombardia e -11,1% in Italia).
Le esportazioni bergamasche hanno ripreso quota rispetto al trimestre precedente. La forte crescita congiunturale (17,4%) è leggermente inferiore rispetto al valore regionale (17,9%), mentre l’Italia nel suo complesso segna un +24,1%, il Nord-est +25,2% e il Nord-ovest +21,7%.
La stessa dinamica di calo tendenziale e crescita congiunturale si avverte su quasi tutti i settori trainanti dell’export provinciale: macchinari (952 milioni, ‑8,6%), prodotti chimici (465 milioni, ‑14,7%), metalli di base (445 milioni, -14,5%), articoli in gomma (340 milioni, ‑8,5%), mezzi di trasporto (336 milioni, -4,9%) e apparecchi elettrici (234 milioni, -4,7%), oltre al tessile e abbigliamento (209 milioni, -13,2%). Solo gli alimentari (225 milioni) sono in calo sia tendenziale (‑3%) che congiunturale (-2,4%).
Nel trimestre in esame l’export di Bergamo per area geografica di destinazione registra un calo tendenziale verso l’area UE 27 post Brexit (-6,2%), nonché verso l’Eurozona (-7,1%). I mercati Extra UE sono in calo ancora maggiore (‑13,1%), dovuto principalmente a un crollo del flusso verso l’America settentrionale e a diminuzioni di minore entità verso l’Africa settentrionale, l’America centro-meridionale e l’Asia centrale; in controtendenza, ovvero in aumento, la variazione verso i paesi europei non UE.
Segnano variazioni negative nel confronto con il corrispondente trimestre del 2019 le esportazioni verso i primi cinque paesi di destinazione delle merci bergamasche che segnano valori negativi: Germania (-5,4%), Francia (‑10,3%), Stati Uniti (-28%), Spagna (‑9,9%) e Regno Unito (-5,9%). In crescita invece le esportazioni verso i successivi cinque paesi più importanti, ovvero Polonia (5,9%), Svizzera (10,9%), Cina (7,6%), Paesi Bassi (1,2%) e Belgio (1,8%). Le esportazioni verso i citati paesi, salvo la Svizzera, accusano un calo anche con riferimento al valore cumulato dell’anno.
Commenta il presidente Mazzoleni: “Il rimbalzo del terzo trimestre ci dimostra che il sistema economico bergamasco, pur non avendo ancora raggiunto i volumi esportati nel corrispondente periodo dell'anno scorso, con minori restrizioni è stato in grado di recuperare buona parte delle relazioni internazionali nell'ambito delle catene del valore transnazionali consolidate. L'analisi per merceologia ci dice che non tutto procede alla stessa velocità. Troppi sono i fattori di incertezza, tra i quali gli effetti della Brexit, per poter fare previsioni attendibili.”
Il sistema camerale lombardo, nell’ambito delle iniziative legate ai Punti Impresa Digitale, ha avviato nel 2017 il monitoraggio dei livelli di conoscenza e di utilizzo degli strumenti e delle tecnologie di Impresa 4.0 tra le imprese. Con la rilevazione compiuta nel terzo trimestre del 2020 c’è la possibilità di confrontare i risultati sull’arco di quattro anni.
La rilevazione del 2020 mostra come il livello di conoscenza delle tematiche 4.0 da parte delle imprese bergamasche continui a crescere, anche se per quanto riguarda l’effettivo utilizzo delle tecnologie abilitanti si nota una lieve battuta d’arresto: la percentuale di conoscenza per le imprese industriali, che si confermano quelle più mature nella transizione digitale, sale all’82%, ma calano lievemente le quote relative alle imprese che stanno valutando una futura adozione delle tecnologie 4.0 e a quelle che le hanno già implementate. Questo rallentamento può essere dovuto ai notevoli sforzi compiuti negli anni precedenti, che avevano visto una crescita sostenuta anche grazie agli incentivi del Piano Nazionale Impresa 4.0, ma anche alle difficoltà di investire in uno scenario di estrema incertezza come quello attuale.
Gli altri settori mostrano percentuali di conoscenza e utilizzo molto inferiori rispetto al comparto industriale, complice una dimensione media minore: i risultati del 2020 fotografano una crescita della conoscenza di queste tematiche, confermando sostanzialmente i livelli registrati nel 2019 per quello che riguarda invece l’effettiva implementazione.
Considerando congiuntamente le risposte delle imprese appartenenti a tutti i settori, le imprese che dichiarano di non conoscere i temi di Impresa 4.0 sono il 29%, 8 punti in meno rispetto all’anno precedente. Di contro, la percentuale di imprese che hanno implementato le tecnologie abilitanti al proprio interno scende dal 19% al 16%.
Il confronto con i risultati emersi a livello lombardo evidenzia che le percentuali bergamasche sono in linea con la media regionale dei diversi settori. Semmai si può riscontrare nell’implementazione un leggero vantaggio per l’artigianato e un lieve ritardo sul terziario. Sulla conoscenza, invece, i valori sempre uguali o superiori ai corrispettivi lombardi.
Alle imprese che hanno implementato soluzioni 4.0 o che stanno valutando di farlo, in gran parte appartenenti al settore industriale, è stato chiesto quali sono le tecnologie abilitanti di particolare interesse. Le risposte confermano la centralità della manifattura avanzata legata alla robotica, mentre al secondo posto si posiziona ancora l’integrazione verticale e orizzontale, sebbene con una percentuale in calo rispetto agli ultimi anni, a pari merito con il cloud, in crescita rispetto al 2019. Seguono big data & analytics, simulazione, cybersecurity e IoT, mentre più marginali risultano la manifattura additiva e la realtà aumentata.
È stato poi chiesto alle imprese in quali altre soluzioni tecnologiche hanno investito o hanno intenzione di investire a breve termine: si tratta di tecnologie non espressamente previste nel Piano di Industria 4.0 ma che ne sono “propedeutiche” e prevedono comunque l’introduzione di soluzioni digitali. Grande interesse riscuotono tutte quelle tecnologie legate alla gestione dei processi aziendali e alla tracciatura dei prodotti (ERP, MES, PLM, SCM, CRM, RFID barcode), indicate dal 70% dei rispondenti, ma risultano in crescita rispetto allo scorso anno anche i sistemi di pagamento tramite dispositivi portatili e internet e le soluzioni fintech e, soprattutto, i sistemi di commercio elettronico e le app, probabilmente anche come risposta alle misure di contenimento del virus che hanno spesso bloccato i canali commerciali tradizionali.
Supporto finanziario e formazione del personale sono i due servizi che vengono indicati come prioritari dalle imprese per favorire la trasformazione in senso digitale. Il primo è indicato soprattutto dalle imprese di minori dimensioni, mentre l’importanza attribuita alla qualificazione del capitale umano risulta crescente all’aumentare della dimensione d’impresa. Al terzo posto si colloca invece la consulenza specialistica, che viene segnalata soprattutto dalle medie imprese, seguita dal miglioramento delle infrastrutture.
In tema di formazione si è anche indagato su quante imprese abbiano partecipato, nell’ultimo anno, a eventi informativi o seminari per sviluppare le competenze digitali: la quota nel 2020 risulta in linea con il dato dell’anno precedente e con la media regionale. L’industria è ancora una volta il settore con i risultati più elevati, sebbene in calo rispetto al 2019, seguito dai servizi, che mostrano invece un miglioramento; inferiore la partecipazione per commercio al dettaglio e artigianato.
I temi trattati in questi eventi e seminari hanno riguardato prevalentemente l’introduzione alle tecnologie 4.0, le loro applicazioni settoriali e le agevolazioni fiscali, ma con percentuali in netto calo rispetto al 2019. In diminuzione anche l’interesse verso gli obblighi normativi sulla digitalizzazione: PEC, firma digitale e fatturazione elettronica nella maggior parte dei casi dovrebbero ormai essere stati recepiti dalle imprese. Cresce invece in misura intensa il bisogno di formazione sui temi del web marketing e dell’e-commerce, probabile spia della necessità da parte delle imprese di trovare nuovi canali di contatto con i propri clienti in seguito al duro impatto delle misure di contenimento della pandemia.
Per quasi la metà delle imprese intervistate il risultato dell’introduzione delle tecnologie digitali in senso lato, quindi non solo di quelle strettamente 4.0, è stato soprattutto un aumento di efficacia e di efficienza, seguito dalla riduzione degli sprechi e dall’aumento della qualità. Le percentuali risultano più elevate per le imprese industriali, dove le tecnologie digitali risultano maggiormente diffuse, sebbene anche in questo settore una su tre dichiari di non averne introdotta nessuna; tale percentuale sale fino a due su tre nelle imprese artigiane, il settore che sembra in posizione meno avanzata lungo il percorso di trasformazione digitale.
Un aspetto fondamentale di questa transizione è la valorizzazione delle informazioni prodotte nello svolgimento della propria attività, la cui importanza non è ancora del tutto compresa dalle imprese: quasi un terzo del campione complessivo dichiara infatti di non avere nessuno strumento di preparazione e diffusione dei dati, in linea con i dati del 2019. Tale percentuale sale nell’artigianato, sebbene il dato risulti in miglioramento rispetto all’anno precedente, mentre nell’industria assume il valore più contenuto. Tra le imprese che producono reportistica prevale ancora la preparazione “manuale” rispetto ai sistemi di business intelligence, tranne nel commercio al dettaglio dove l’utilizzo di tecnologie automatizzate per l’elaborazione dei dati risulta più diffuso rispetto alla reportistica tradizionale. L’elevato grado di maturità delle imprese del commercio in fatto di analisi ed elaborazione delle informazioni, almeno di quelle che realizzano queste attività, emerge anche dalle percentuali di utilizzo dei big data e degli algoritmi di intelligenza artificiale, che risultano superiori agli altri settori; il ruolo della grande distribuzione risulta naturalmente trainante in questo ambito.
Quest’anno è stato inoltre indagato il giudizio delle imprese sulla digitalizzazione dei processi per l’attivazione dello smart working, modalità di lavoro che molte imprese hanno dovuto implementare per poter proseguire l’attività rispettando le misure di contenimento dell’epidemia. Le imprese che hanno dichiarato di non utilizzare il lavoro agile sono il 44% del totale, con punte del 66% nell’artigianato e del 56% nel commercio al dettaglio. Il 22% delle imprese esprime invece una valutazione “buona” o “eccellente” sull’implementazione di questa modalità, a fronte di un 25% che la reputa solo “sufficiente”, indice del fatto che il lavoro agile è stato nella maggior parte dei casi una scelta obbligata ma non ancora pienamente accolta e valorizzata dalle imprese. Il giudizio “tiepido” delle imprese si spiega probabilmente con la difficolta di introdurre non solo le tecnologie necessarie per consentire il lavoro da remoto, ma anche il cambiamento organizzativo e di mentalità che consenta davvero un guadagno di efficienza e una maggiore soddisfazione dei lavoratori. A livello settoriale si riscontrano valutazioni più elevate nei servizi, mentre le imprese artigiane, oltre ad essere meno propense all’utilizzo, si dimostrano anche più critiche nei giudizi.
“Le nuove tecnologie digitali e la connettività diffusa” – commenta il presidente Carlo Mazzoleni – “hanno pervaso negli ultimi anni i sistemi economici internazionali, nazionali e locali, influenzando i modelli produttivi e organizzativi delle imprese. Si tratta di una trasformazione che impatta su tutte le strutture funzionali e che richiederà uno sforzo di adattamento da parte del nostro Paese per recuperare il ritardo accumulato rispetto agli altri Stati europei. Il clima di incertezza di quest’anno non ha certamente giocato a favore degli investimenti delle imprese, tuttavia la Camera di commercio prosegue con convinzione nelle sue attività di sostegno diretto e di accompagnamento nel processo di adeguamento digitale già in atto da alcuni anni.”
Secondo l’indice Desi, elaborato annualmente dalla Commissione Europea analizzando cinque macro aree (connettività, competenze digitali, uso di Internet da parte dei singoli, integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese e servizi pubblici digitali), l’Italia risulta in buona posizione solo in termini di connettività, grazie all’avanzamento delle attività per il lancio del 5G. È in ritardo sul piano della digitalizzazione delle imprese e, soprattutto, dell’utilizzo di Internet e delle competenze digitali. Ciò fa sì che il livello complessivo di digitalizzazione dell’Italia è, per il quarto anno di seguito, il quartultimo in Europa prima di Romania, Grecia e Bulgaria.
Nell’ambito della trasformazione in senso digitale della società, e delle imprese in particolare, una spiccata enfasi è stata posta negli ultimi anni sul tema di Impresa 4.0 e delle tecnologie abilitanti che favoriscono quella che è stata definita una possibile “quarta rivoluzione industriale”, tanto da spingere il Governo italiano, sulla scorta di quanto fatto anche da altre nazioni europee, ad adottare un piano nazionale per incentivare gli investimenti in tal senso.
COMMERCIO AL DETTAGLIO - Le imprese bergamasche del commercio al dettaglio con almeno tre addetti registrano nel terzo trimestre una variazione del fatturato su base annua pari al -2,4%, una flessione molto più contenuta rispetto al -7,2% e al -17,1% conseguiti nei primi due trimestri del 2020. Il comparto si conferma inoltre, rispetto agli altri macro-settori economici indagati dalla rilevazione della Camera di commercio, come quello meno colpito dalla crisi da Covid-19.
L’indice del fatturato, dopo aver raggiunto nel secondo trimestre il livello più basso della serie storica, risale a quota 86, circa 1,5 punti sotto il valore di fine 2019. A livello lombardo il recupero è ancora più marcato con l’indice regionale che si porta a poco più di mezzo punto dai livelli pre-Covid.
Per capire meglio l’evoluzione del comparto vanno considerati gli effetti molto eterogenei che il periodo di quarantena ha avuto sugli esercizi commerciali a seconda della tipologia: i negozi alimentari, soprattutto la grande distribuzione, sono stati infatti avvantaggiati dalla crescita del lavoro agile e dalla chiusura di bar e ristoranti, elementi che hanno favorito i consumi domestici, mentre i negozi non alimentari hanno subito un duro contraccolpo, dovendo in gran parte sospendere le attività. Il risultato complessivo è stato di una perdita comunque significativa, ma di entità inferiore rispetto agli altri settori economici.
Nel terzo trimestre questa estrema variabilità settoriale si affievolisce, perché i negozi non alimentari mostrano un effetto “rimbalzo” dovuta alla piena ripresa delle attività, portandosi anch’essi in prossimità dei livelli di fatturato che avevano contraddistinto il 2019.
I prezzi mostrano un calo rispetto al trimestre precedente (-0,6%), quando difficoltà logistiche di approvvigionamento e domanda in crescita per alcune tipologie di prodotti avevano causato un rincaro dei listini.
Le valutazioni sugli ordini ai fornitori, nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente, mostrano ancora una netta prevalenza di indicazioni di diminuzione su quelle di aumento, ma il saldo evidenzia un miglioramento rispetto al secondo trimestre. Molti negozi sono d’altra parte ancora alle prese con lo smaltimento delle scorte, sebbene i giudizi sui magazzini registrino un deciso riassorbimento rispetto ai valori molto elevati dei primi due trimestri del 2020.
Circa le vendite di ipermercati e supermercati, nel terzo trimestre si evidenzia un rallentamento rispetto alla crescita intensa sperimentata nei primi due trimestri, quando supermercati e ipermercati avevano fronteggiato un significativo incremento della domanda: la variazione in valore rimane positiva, sebbene di entità inferiore rispetto alle due precedenti, mentre le quantità vendute mostrano una diminuzione. Nonostante alcuni elementi permangano nel favorire il consumo alimentare domestico (ad esempio il lavoro da remoto), il vantaggio per la grande distribuzione si è notevolmente attenuato.
L’occupazione conferma un buon grado di tenuta nonostante lo shock portato dalla pandemia: la variazione del numero di addetti nel trimestre è infatti solo lievemente negativa (-0,2%), con tassi di ingresso e uscita in crescita dopo il “congelamento” del mercato del lavoro nei primi due trimestri. Gli strumenti a sostegno dell’occupazione, da un lato, e le esigenze di manodopera da parte degli esercizi che hanno sperimentato una crescita di domanda, dall’altro, hanno permesso all’occupazione di rimanere sostanzialmente stabile; si è però esaurita la fase di crescita che aveva caratterizzato il 2019.
Le aspettative degli imprenditori per il prossimo trimestre segnalano un miglioramento diffuso, in parte dovuto al picco delle vendite di fine anno, che nel terzo trimestre genera sempre aspettative al rialzo. Il confronto con i valori registrati un anno fa mostra come i livelli di fiducia si siano riportati vicini ai livelli pre-Covid senza però raggiungerli. Naturalmente l’evoluzione della situazione epidemiologica sarà fondamentale per confermare queste speranze e determinare i risultati dell’intera annata.
SERVIZI - Il settore dei servizi si conferma l’epicentro dello shock economico portato dal Covid-19: le imprese bergamasche con almeno 3 addetti appartenenti a questo variegato e ampio settore registrano nel terzo trimestre una variazione di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019 pari al -7,5%, il divario più ampio tra i macro-settori indagati dall’indagine della Camera di commercio. Tutti i comparti evidenziano variazioni negative, ma se i servizi alle imprese e, in misura ancora maggiore, il commercio all’ingrosso si sono riportati in prossimità dei livelli pre-Covid, per i servizi di alloggio e ristorazione il calo di fatturato su base annua è ancora nell’ordine del -20%: per queste imprese anche le prospettive future restano molto incerte.
Dopo aver toccato il minimo storico nel secondo trimestre 2020, l’indice del fatturato risale a quota 87,9. La crescita congiunturale è pari a oltre il 20%, ma per raggiungere i valori di fine 2019 restano ancora 5 punti da recuperare. L’andamento dei servizi a Bergamo rispecchia da vicino la tendenza regionale, sebbene l’indice provinciale si confermi su un livello inferiore per via del divario accumulato negli anni passati.
L’andamento dei prezzi mostra una lieve accelerazione, spinta probabilmente dai costi derivanti dall’implementazione dei protocolli di sicurezza. Le prospettive future dei prezzi restano comunque orientate a un’estrema moderazione per via della debolezza della domanda.
Nonostante il deciso miglioramento rispetto alla situazione dei primi due trimestri, le imprese dei servizi che dichiarano un calo su base annua rimangono la maggioranza del campione.
A differenza degli altri macro-settori, nei servizi l’effetto dell’emergenza sanitaria ed economica sull’occupazione è stato evidente, con un calo significativo del numero di addetti dovuto probabilmente alla quota più elevata di contratti con minore protezione, come quelli a tempo determinato o a chiamata. Questa maggior reattività dell’occupazione al ciclo economico ha fatto sì che il numero di addetti tornasse lievemente ad aumentare. Al netto degli effetti stagionali la crescita occupazionale è più marcata, ma l’indice si posiziona comunque diversi punti sotto il livello pre-Covid.
Dopo il miglioramento della scorsa rilevazione, le aspettative degli imprenditori per il quarto trimestre non mostrano un ulteriore progresso. I saldi si confermano in territorio ampiamente negativo, in particolare per il fatturato e l’occupazione. Ancora una volta, sono le attività di alloggio e ristorazione a mostrare i livelli di fiducia più bassi, sebbene la rilevazione sia stata svolta nei primi 20 giorni di ottobre, prima cioè che le nuove misure di contenimento adottate per fronteggiare la seconda ondata del virus tornassero a colpire questo settore già duramente penalizzato.
“La reattività che abbiamo riscontrato nei due comparti manifatturieri – dichiara il presidente Carlo Mazzoleni – è osservabile anche nel commercio, che ha avuto buone prestazioni nel terzo trimestre; non così nei servizi, soprattutto per alloggio e la ristorazione. Ovviamente la seconda ondata lascerà un segno sui numeri del quarto trimestre. L’economia si riavvierà velocemente solo una volta eliminato il rischio sanitario. Ci sono segnali incoraggianti in questo senso, tuttavia è opportuno attenersi ad un principio di prudenza.”
I dati relativi alla produzione manifatturiera a Bergamo e provincia nel periodo luglio-settembre 2020 evidenziano un netto rimbalzo, dopo la forte caduta dei primi 6 mesi dell’anno. Rispetto al secondo trimestre, le imprese industriali con almeno 10 addetti riportano una crescita del +21,3% e quelle artigiane con almeno 3 addetti registrano un incremento di +22,7%.
Il confronto con lo stesso periodo del 2019 mostra come questo sforzo non abbia tuttavia consentito di recuperare pienamente i livelli produttivi pre-Covid-19. Le variazioni su base annua (dato tendenziale) sono infatti pari al -3,4% per l’industria e al -7,2% per l’artigianato.
INDUSTRIA - Per l’industria bergamasca l’indice della produzione risale a 103,5 dopo aver toccato il minimo storico nel secondo trimestre per gli effetti della tempesta sanitaria ed economica. Si tratta di un risultato in linea con quello regionale, anche se la Lombardia nel suo complesso mostra un differenziale negativo lievemente peggiore rispetto ai livelli dell’anno precedente (-5,2% la variazione regionale su base annua).
I settori oggetto della rilevazione mostrano però andamenti non omogenei. Per il comparto moda le variazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso sono ancora pesantemente negative, mentre gli alimentari, il chimico-farmaceutico e la gomma-plastica hanno mostrato una maggior capacità di recupero. Particolarmente reattiva si è dimostrata la meccanica bergamasca, che sembra essersi rapidamente riportata sui livelli produttivi del 2019.
La dinamica del fatturato segue abbastanza da vicino quella della produzione, sebbene con un risultato lievemente meno incoraggiante: la crescita congiunturale rispetto al secondo trimestre 2020 è pari al +20,5%, con una variazione su base annua che si attesta al -5,1%.
Anche sul fronte degli ordinativi si assiste a una ripresa vigorosa dal punto di vista congiunturale, con incrementi prossimi al 25% sia per gli ordini interni che per quelli esteri. Rispetto al livello di un anno fa, gli ordinativi provenienti dal mercato interno risultano più penalizzati (-7,6% la variazione tendenziale a fronte del -5,6% per quelli esteri), per via delle maggiori perdite subite durante la prima fase dell’emergenza sanitaria.
Prosegue invece la fase calante dell’occupazione industriale, con una diminuzione del numero di addetti nel trimestre (-0,3%): si tratta di una tendenza negativa già iniziata nel corso del 2019 e che non sembra aver risentito in misura rilevante degli effetti della pandemia, anche grazie all’ampio ricorso agli ammortizzatori sociali. La Cassa Integrazione, pur in calo rispetto alle punte del secondo trimestre, si conferma infatti su livelli molto elevati: dichiara di averla utilizzata il 41% delle imprese bergamasche del campione intervistato.
Le aspettative degli imprenditori risultano ancora condizionate dall’incertezza che riguarda l’evolversi della situazione sanitaria, con la maggior parte degli imprenditori che rimane pessimista sui risultati del quarto trimestre. Il saldo tra previsioni di crescita e diminuzione si conferma infatti negativo per tutte le variabili (produzione, domanda interna ed estera, occupazione), sebbene con valori in leggero miglioramento rispetto a quelli dell’ultima rilevazione.
ARTIGIANATO - Anche l’artigianato manifatturiero bergamasco evidenzia un rimbalzo significativo dopo la caduta della prima parte dell’anno: rispetto al punto di minimo del secondo trimestre la produzione cresce del +22,7% e il fatturato del +23,7%, ma le rispettive variazioni su base annua si attestano al -7,2% e al -4,8%, evidenziando un recupero solo parziale dei livelli pre-Covid. Per gli ordini interni il divario rispetto allo stesso periodo del 2019 è invece del -6,8%.
Si conferma la tenuta dell’occupazione delle imprese artigiane (+0,3% la variazione nel trimestre), che grazie all’allargamento dei criteri di accesso hanno fatto un massiccio utilizzo della Cassa Integrazione: il 34% delle imprese intervistate dichiara di avervi fatto ricorso, dopo il picco pari al 72% raggiunto nel secondo trimestre. Le aspettative per l’ultimo trimestre dell’anno rimangono orientate in senso prevalentemente negativo, anche se le previsioni risultano in lieve miglioramento per quanto riguarda produzione e domanda interna.
COMMERCIO E SERVIZI - Per le imprese attive nei servizi il fatturato del terzo trimestre 2020 risulta ancora distante dai livelli del 2019: la variazione su base annua è infatti pari al -7,5%. Si tratta di un recupero comunque significativo rispetto al -24,2% del secondo trimestre, sebbene per le attività di alloggio e ristorazione il divario rimanga superiore al -20%.
Il commercio al dettaglio si conferma anche nel terzo trimestre il settore meno colpito dall’emergenza sanitaria: il fatturato mostra una diminuzione contenuta su base annua (-2,4%), con una minore variabilità tra i diversi settori rispetto ai trimestri precedenti grazie alla ripresa significativa dei negozi non alimentari, che erano stati molto penalizzati durante la prima fase della pandemia. Va tuttavia sottolineato che il dato è stato rilevato prima delle recenti misure di contenimento e limitazione delle attività adottate in seguito alla seconda ondata del virus.
Commenta il presidente Carlo Mazzoleni: “La riapertura estiva di tutte le attività economiche, in seguito al venir meno delle misure più rigide di contenimento del virus, ha trovato pronte le imprese della manifattura. Hanno mostrato notevole reattività nel ripartire velocemente e cercare di recuperare, riallacciando filiere e rapporti commerciali interrotti dal lockdown. Buona la ripresa del commercio, ma la seconda ondata che stiamo vivendo sta andando a penalizzare nuovamente il settore.”
A Bergamo nella media dell’anno 2019, secondo una recente elaborazione sui microdati provinciali Istat effettuata da Unioncamere Lombardia, i Neet, acronimo di Not in Education, Employment or Training, ovvero la classe di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano perché disoccupati o inattivi, né partecipano a corsi di istruzione o formazione professionale, sono 24.744 (9.601 maschi e 15.142 femmine). Il tasso Neet totale o tasso di incidenza sulla popolazione giovanile tra i 15 e i 29 anni registra il 14,5%.
In Lombardia i Neet sono 213.986 con un tasso di incidenza del 14,8% sull’insieme dei giovani residenti, mentre in Italia sono 2.003.104 con un tasso del 22,2%. Il territorio bergamasco, fatto salvo il maggiore margine di errore statistico sul livello provinciale, risulta sostanzialmente allineato ai dati regionali e sensibilmente distante da quelli nazionali.
[Grafico 1 - Neet totali e tasso Neet, Bergamo e Lombardia, 2014-2019]
I Neet maschi perdono quasi 5 mila unità rispetto all’anno precedente. Il tasso Neet maschile si attesta sul 10,9% contro il 16,3% del 2018, di poco inferiore alla media della Lombardia (11,8%) e molto lontano dalla media nazionale (20,2%).
I Neet donne rappresentano il 61% della popolazione Neet bergamasca. Questa categoria aveva subito una forte flessione nel 2018 rispetto all’anno precedente e il miglioramento si è mantenuto nel 2019, che ha registrato solo un lieve incremento del 2%. Il tasso Neet femminile del 18,3% è allineato con quello della Lombardia (17,9%) ma sensibilmente inferiore rispetto alla media italiana (24,3%).
Nonostante i segnali positivi, il territorio bergamasco risente ancora di un ampio divario tra giovani donne e giovani uomini, che caratterizza da sempre il mercato del lavoro della provincia.
[Grafico 2 - Tasso Neet maschile e femminile (giovani 15-29 anni), Bergamo 2014-2019]
A confronto con le altre province lombarde, il tasso Neet femminile colloca Bergamo in quinta posizione per tasso di incidenza più elevato dopo Varese, Lodi, Cremona e Monza e Brianza.
[Grafico 3 - Tasso Neet femminile (Giovani 15-29 anni), 2019]
Significativamente migliore, invece, la situazione bergamasca per il tasso Neet maschile, che assicura a Bergamo il terzo posto tra le province lombarde con minore Neet rate maschile, insieme a Brescia (9,3%) e Sondrio (7,7%). A livello di tasso Neet complessivo, invece, Bergamo risulta tra le prime cinque province con tasso di incidenza totale più basso insieme a Lecco (13,9%), Milano (13,5%), Brescia (13,4%) e Sondrio (10,6%).
Interessante notare che, tra le regioni italiane a forte industrializzazione, la Lombardia si colloca al secondo posto per tasso Neet totale dopo il Piemonte (16,6%), mentre Emilia-Romagna (14,3%) e Veneto (12,4%) registrano tassi inferiori.
Nei primi due trimestri del 2020, secondo gli ultimi microdati provinciali Istat, a Bergamo i Neet totali e il tasso Neet risultano aumentati lievemente rispetto ai valori nei periodi corrispondenti dell’anno 2019. Questo perché la situazione del mercato del lavoro nel 2020, a causa della diffusione della pandemia da Covid-19 e delle relative misure di contenimento, ha influito notevolmente anche sui giovani Neet. Il primo semestre dell’anno, infatti, ha visto un calo della disoccupazione, dovuto da un lato agli ammortizzatori sociali e dall’altro al fenomeno dello scoraggiamento che ha portato molti giovani a smettere di cercare una professione e a rientrare, quindi, nella categoria dei Neet.
[Grafico 4 - Tasso Neet totale (giovani 15-29), Bergamo 2014-2020]
Commenta i risultati il presidente Carlo Mazzoleni: "Il fenomeno Neet deve essere affrontato con tutti gli strumenti disponibili, perché il rischio è quello di perdere una generazione nel mondo del lavoro. Il calo del fenomeno Neet riscontrato a Bergamo nel 2019 è un segnale incoraggiante, ma non dobbiamo sottovalutare il quadro dell’anno corrente, che ci segnala come i giovani stiano subendo più di altre fasce d’età la crisi economica da Covid-19, e ci ricorda la necessità di continuare a investire sulla formazione, l’orientamento, l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendistato, e la promozione della nuova imprenditorialità."
Il terzo trimestre 2020 si chiude con 94.166 imprese registrate in provincia di Bergamo. Lo stock delle imprese attive (83.978) è in calo tendenziale (-553 posizioni pari al -0,7% su base annua) dalla metà del 2012. Nel periodo considerato si sono avute 1.002 nuove iscrizioni (+4% su base annua) e 840 cessazioni (-30,1%), con un saldo positivo di +162 unità (-240 nel corrispondente periodo del 2019).
Le imprese attive aumentano su base tendenziale tra le società di capitale (+1,3%). Diminuiscono le società di persone (-2,8%), le imprese individuali (-1,0%) e le altre forme giuridiche (-1,8%), in prevalenza cooperative.
Tra i settori produttivi, la contrazione delle imprese attive rispetto a un anno fa riguarda il commercio all'ingrosso e al dettaglio (-389 pari al -2,0%), le attività manifatturiere (-173 pari al -1,6%, di cui 151 artigiane), i servizi di alloggio e ristorazione (-100 pari a -1,7%), agricoltura, silvicoltura e pesca (-48 pari al -1,0%), costruzioni (-36 pari al -0.2%), trasporto e magazzinaggio (-28 pari a 1,3%) e le attività di intrattenimento (-4 pari a +0,4%).
Si registrano aumenti prevalentemente tra i servizi di supporto alle imprese (+103 pari a +3,5%), le attività professionali (+77, pari al +2,0%), le attività finanziarie e assicurative (28, paria a +1,2%), le attività immobiliari (+26 pari a +0,4%), la sanità e l'assistenza sociale (+12, pari a +1,9%) e l'istruzione (+10 pari al +2,3%).
Il settore artigiano, con 30.152 imprese a fine settembre 2020, registra una riduzione del -0,9% delle unità registrate su base annua. Lo stock delle posizioni attive registra una riduzione di 265 unità rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Le iscrizioni (+335) diminuiscono del 2,6% su base annua mentre aumentano leggermente le cessazioni (+331, ovvero +0,3%). Per questo trimestre si registra comunque un saldo positivo tra iscritte e cessate: +4 unità, contro quello del secondo trimestre dell'anno precedente, +14 unità.
Lo spaccato per genere, età e nazionalità delle posizioni attive evidenzia su base annua una flessione (-2,3%) delle imprese giovanili, un leggero aumento delle imprese straniere (+1,7%). In leggera diminuzione le imprese femminili (-0,5%).
Diminuite le procedure concorsuali di fallimento, scioglimento e messa in liquidazione: 250 nel terzo trimestre del 2020, in confronto alle 309 del corrispondente trimestre del 2019.
L'importazione periodica nel Registro imprese dei dati occupazionali comunicati a INPS in base alla localizzazione dell'impresa consente di stimare, con la cautela necessaria di fronte a dati di origine amministrativa, gli addetti, cioè le posizioni lavorative presenti nel territorio, al netto del settore pubblico e delle attività dei liberi professionisti.
Le 107 mila unità locali delle imprese attive, diminuite rispetto a un anno fa, impiegano 398.630 addetti. Rispetto allo stesso periodo del 2019 si registrerebbe pertanto una riduzione di -2.955 addetti, con una variazione del -0,7%.
Incrementi si riscontrano nei servizi di sanità e assistenza sociale (+1.283), nelle costruzioni (+1.249) e nelle attività manifatturiere (+245).
Rilevanti perdite di addetti su base annua si rileva nei servizi di noleggio, agenzie di viaggio e supporto alle imprese (-2.164), nel commercio all'ingrosso e al dettaglio (-1.264), nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione (-1.191), nelle attività di intrattenimento e divertimento (-529) e nelle attività finanziarie e assicurative.
Commenta il presidente Mazzoleni: "Nel periodo considerato resta positivo il saldo tra aperture e chiusure, ma negli ultimi due trimestri disponibili l'anagrafe camerale sembra evidenziare l'inizio di un'inversione di tendenza nella consistenza delle imprese attive per i servizi di alloggio e ristorazione. Purtroppo è altamente probabile che sul settore, già duramente colpito dalla crisi del turismo conseguente alla pandemia, peseranno anche le recenti misure di contenimento del Covid-19."
Nella regione Lombardia e in provincia di Bergamo anche il settore agricolo ha risentito molto della diffusione del Covid-19 e dalle misure adottate per il suo contenimento, ma non nella misura degli altri comparti produttivi. Questa in estrema sintesi il risultato dello studio semestrale sulla congiuntura agricola lombarda condotto da Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia in collaborazione con le associazioni agricole, presentato stamattina. Lo studio evidenzia infatti nel primo semestre dell’anno la natura anti-ciclica dell’agro-alimentare che, ancora una volta, ha dimostrato una tenuta maggiore nelle circostanze di recessione economica da Covid-19.
L’andamento dell’agricoltura è dunque negativo, ma meno rispetto ad altri settori come l’industria, con un indice del fatturato regionale cumulato che registra una forte flessione, specialmente nel secondo trimestre. Anche a livello nazionale l’Istat stima che l’agricoltura abbia contribuito alla caduta del PIL per il -2,3% nel primo trimestre e per il -4,9% nel secondo trimestre.
Le esportazioni dell’agro-alimentare nella provincia di Bergamo crollano del 2% nel semestre, in decisa controtendenza rispetto alla Lombardia, che registra invece una crescita del +2%. A pesare sul risultato negativo nel bergamasco è l’industria alimentare e delle bevande, che rileva un -6% contro il +16% del 2019. Nella provincia di Bergamo, tuttavia, l’esportazione dei prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’acquacoltura ha valori molto positivi (+24%), in netta contrapposizione con la media regionale (-0,2%).
L’indice di costo dei mezzi di produzione riscontra un calo significativo, specialmente nella zootecnia e, seppure in misura inferiore, nelle coltivazioni agricole, a causa della diminuzione delle spese energetiche nei mesi di confinamento.
Interessante notare che i risultati di ciascun comparto sono stati molto differenti e influenzati dallo specifico canale cui sono destinati i prodotti finiti. Nel dettaglio si sono evidenziate le seguenti dinamiche settoriali:
Sul fronte occupazionale i segnali sono positivi per il primo trimestre (ultimo dato disponibile), che ha registrato in Lombardia un aumento degli addetti (6,1%) alle unità locali delle imprese agricole. Nella provincia di Bergamo, invece, il dato è cresciuto del +7,5%, ben al di sopra della media lombarda, e allineato alle ottime perfomance delle province di Sondrio (+13,6%) e di Mantova (+10,6%). I dati mensili del Sistal di Regione Lombardia, basati sulle comunicazioni obbligatorie relative a rapporti di lavoro dipendente nella provincia, offrono un quadro più preciso. In agricoltura le assunzioni sono rimaste stabili fino a maggio ma segnano una flessione negativa nel mese di giugno che si approfondisce con luglio. Le cessazioni nel settore, invece, sono in aumento, con picchi nei mesi di gennaio, febbraio e aprile.
Il numero di imprese operanti nel settore agricolo continua a calare in modo costante rispetto ai semestri precedenti. Questo andamento però non risulta tanto influenzato dall’emergenza Covid-19 quanto, invece, dalla peculiare struttura del tessuto imprenditoriale agricolo lombardo. In Lombardia si registra una variazione negativa del -1,9% e del -2,1%, rispettivamente nel primo e nel secondo trimestre. Nella provincia di Bergamo si riscontrano risultati leggermente migliori rispetto alla media regionale, con un calo del -0,3% nel primo trimestre e del -1,1% nel secondo.
Il quadro che traccia lo studio congiunturale è di un primo semestre 2020 negativo per il settore agricolo della Lombardia, anche se in misura molto più contenuta rispetto ad altri comparti. Detto ciò, l’emergenza sembra aver travolto soprattutto il comparto della zootecnia, il cuore dell’agro-alimentare lombardo, e il lattiero-caseario, causando una contrazione significativa dell’indice trimestrale dei prezzi all’origine. La tiepida ripresa iniziata negli ultimi mesi del primo semestre e nei mesi successivi al confinamento fa sperare in un miglioramento per il prossimo semestre. L’incognita principale sul futuro del settore è però una nuova diffusione del Covid-19 in Italia e all’estero.